Come gateway, i porti marittimi sono sempre stati sensibili ai cambiamenti di tendenze socio-economiche. Nella prima parte dell’età moderna, e oltre, i porti europei e le città-porto sono stati spesso al centro della scena politica marittima, (in grande considerazione) sia in termini commerciali e sociali. La globalizzazione, gradualmente, ha trasformato la funzione di porto stesso. Da posizione centrale-fulcro, il porto si è evoluto in un concetto, più significativo, di elemento di valore-aggiunto di un sistema della catena logistica. I container hanno poi intensificato la competitività fra i porti che è diventata ampiamente dipendente da fattori esterni al porto stesso in quanto tale. Questi cambiamenti sono stati, a loro volta, influenzati dai comportamenti degli operatori di mercato, come nel potere di contrattazione domanda/offerta, generando processi di integrazione orizzontale e verticale della supply chain. D’altra parte, la società post-moderna non può più concedere un sostegno automatico allo sviluppo portuale e non garantisce più le strategie che i porti possono dare al commercio e al benessere del territorio marittimo interessato. Le esigenze di espansione portuale di una regione marittima sono influenzate da preoccupazioni ecologiche, e da atteggiamenti sociali che generano pressioni individualiste dello sviluppo urbano, NIMBY (Not In My Back Yard). Queste pressioni sociali si intrecciano con le tendenze del mercato e in molti casi hanno degenerato in manifestazioni di intolleranza anche in Europa. Queste tendenze hanno creato un ambiente incerto e complesso nella governance dei porti che stanno cambiando fondamentalmente il concetto di porto. Nel contempo, anche il concetto di “autorità portuale” sta subendo dei cambiamenti. Nelle direttive per l’accesso al mercato dei servizi portuali, la Commissione europea definisce una port authority come l’entità che esclusivamente opera per soddisfare gli obiettivi nazionali, gestendo nei migliori dei modi le infrastrutture, e ne controlla le attività di differenti operatori presenti nel porto stesso. Il termine “port authority” implica uno specifico atto pubblico, una forma di governo portuale, ma non un generico termine nella gestione di demanio marittimo e della salvaguardia delle acque, rispetto alle navi che vi transitano. Molte definizioni del termine detto si sono date in quest’ultimo periodo; il filone più di moda è quello che vede l’authority come attore di un marketing territoriale e portuale per attrarre più operatori di terminal e di logistica, oltre alle navi. Poi ci domanda: quale interesse dovrebbe avere per il territorio un terminalista che non risponde alle istituzioni di quella regione? Oppure pensiamo che solo la presenza temporanea di una nave in porto genera sviluppo?