Attività / Logiche portuali

Da sempre il caricare e/o scaricare una nave è stato il nocciolo del lavoro portuale. Alla fine della Seconda Guerra Mondiale si è raggiunta la consolidazione del in pezzi o unità che i lavoratori portuali riuscivano a manipolare; l’unità di manipolazione era l’uomo-carico (man-load) che spostava sia in che fuori stiva dai 30Kg agli 80 Kg. Alla fine degli anni ’50 si passa all’unità-carico (unit load) e si affaccia anche la delle navi (contaneir, , cisterne, gasiere e chimichiere), con la specializzazione delle attrezzature presenti nei terminal portuali ( di banchina, carrelli a forca, carrelli di , gru su gomma, ecc.). Tutto questo, pur inducendo una certa crescita nella produttività del lavoro portuale, portava ad una diminuzione dei tempi di rotazione delle navi, riducendo il numero dei lavoratori portuali impegnati nel carico/scarico delle navi. Le compagnie di navigazione hanno dovuto, nel tempo e fino ad oggi, far fronte  agli aumenti dei costi, connessi al tempo di produttività dei terminal in termini di produttività di banchina. Dal punto di vista porto/portuale,  rapide operazioni di banchina influenzano i tempi di sosta di una nave, permettendo un aumento di numero di viaggi, riducendo i costi fissi per ogni nave operata. Non tutti i porti, però sono attivi h24 x 7 giorni; ed è per questo che le compagnie di navigazione (non tutte) sono disposte a sopportare costi più del terminal o di banchina durante i weekend e nella notte se questi costi addizionali possono essere compensati da risparmi in termini di tempo di sosta della nave. Altre compagnie sono interessate ai risparmi legati al costo del lavoro; cioè prediligono l’utilizzo di più gru  e forza lavoro extra a condizione che la nave rispetti i tempi di navigazione. E comunque, i vantaggi di avere una alta produttività  di un porto per le operazioni di carico/scarico delle merci possono essere vanificati dai costi di altre attività connesse alla nave se risultassero non efficienti (, pilotaggio, ormeggio).