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Si parla di riforma dei porti vista da Fratelli d’Italia, aspettando quella della Lega. La marittimità accomuna, dunque, numerosi ‘Utenti del Mare’, pubblici e privati, che devono operare assieme in sinergia e sicurezza, sia nel contesto interno sia in quello internazionale
Roma. Il Ministro Musumeci, con il suo ‘Piano del Mare‘ ha portato alla ribalta teoremi e proposte per rendere un futuro possibile ai porti italiani, una ‘riforma degli enti che governano le banchine italiane’. Anzi, si parla di ‘spunti’ proposti per una vera e propria riforma dei porti. Il Tavolo di Lavoro del Comitato Interministeriale per le Politiche del Mare, che ha elaborato il Piano sottolinea il proprio ‘spunto’ di riflessione affermando che è necessario “consentire alle AdSP – deputate alla gestione dei porti nazionali – iniziative d’impresa nella catena logistica, anche attraverso forme consortili o comunque di co-partecipazione con soggetti privati secondo un modello già da tempo consolidatosi nei sistemi portuali più evoluti”.
Ebbene, si parla di portualità, si scrivono bozze per sottolineare la propria visione di portualità: Fratelli d’Italia, con Musumeci, vuole consolidare il rapporto con i privati e le Authority possono fare impresa, comprese le banchine, e il come ancora da definire; mentre la Lega, di Salvini e di Rixi, propone il modello spagnolo, cioè individuare un organo centrale con compiti di coordinamento, indirizzo, pianificazione, regolazione e distribuzione delle risorse dello Stato.
I due Ministeri, quello del Mare e quello dei Trasporti, sembrano in contrasto fra loro; ma così non è in quanto Musumeci, con il Tavolo di Lavoro, si sta interessando ad una riforma dei porti in quanto ‘enti’. Mentre il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, con Salvini e Rixi, è più interessato all’esercizio di un lavoro portuale più innovativo, proprio del settore dei trasporti marittimi, adeguando le infrastrutture portuali all’evoluzione dei traffici, per attrarre investimenti, accrescendo così le risorse economiche a disposizione e per, favorisce lo sviluppo economico.
Finché lo Stato manterrà il proprio controllo sui porti, le strutture portuali non subiranno stravolgimenti. Infatti, in Italia, la disciplina portuale si fonda sull’appartenenza dei porti al demanio marittimo, garantendo il ruolo dello Stato su di essi con funzione primaria rispetto alle politiche commerciali esterne dei porti stessi.
La transizione energetica, ambientale e sociale in atto sta coinvolgendo non solo il trasporto marittimo, ma anche le infrastrutture ad esso relative, al punto che le infrastrutture portuali europee e italiane sono riconosciute importanti e fondamentali per uno sviluppo sostenibile.
Per la normativa europea i porti fanno parte di un ambito che riguarda le infrastrutture, cioè impianti essenziali per i traffici e i commerci. Dal punto di vista tecnico-giuridico, l’UE norma alcuni principi generali e rimanda per una disciplina più dettagliata nelle disposizioni normative dei singoli Stati membri.
Per l’Italia, ancora oggi, poiché il quadro normativo si fonda sull’appartenenza degli spazi portuali al demanio marittimo, lo Stato, eserciterà più controlli sugli investimenti stranieri a protezione degli interessi nazionali; (vedasi la disciplina del golden power che consente l’intervento da parte del Governo sulle principali e più importanti azioni e decisioni delle società che investono nel nostro Paese e nelle quali sono interessati capitali nazionali).
Per questo, non sussistono rischi di utilizzo incoerente con le scelte di destinazione adottate dagli enti pubblici derivanti dagli investimenti stranieri per i nostri porti. In tal modo, infatti, si permette il condizionamento nell’accesso alle strutture portuali a servizio dei traffici provenienti dall’estero attraverso i controlli sulla proprietà e sui diritti di utilizzazione da parte delle relative imprese in coerenza con le scelte nazionali rilevanti al riguardo.
Eccezione a questa logica è quella che si è realizzata in Grecia in presenza di una espressa volontà dello stesso Governo di favorire una privatizzazione dei porti. Sicuramente, anche da noi, se cambiasse la legislazione in tale direzione e quindi si modificasse il regime giuridico sui porti e sugli spazi portuali, si assisterebbe a una corrispondente disattivazione delle molte protezioni che attualmente esistono nel Governo e nell’utilizzo degli spazi portuali.
Tempo addietro, quando si parlava di nuove norme sulla portualità italiana, in vari incontri (il caso del Porto di Genova durante la visita del Presidente del Consiglio Mario Draghi) i Sindacati manifestarono il proprio disappunto.
“Non siamo d’accordo sull’eventualità di un cambiamento della natura giuridica delle autorità portuali e non arretreremo mai dalla nostra posizione, nella convinzione che un’Autorità di Sistema Portuale di natura privatistica, pensata per lavorare esclusivamente in un’ottica imprenditoriale, rappresenti un pericolo per la tenuta e la crescita di tutto il sistema portuale”. Queste erano le parole del Segretario Generale della Uiltrasporti Claudio Tarlazzi.
“Un’Autorità di Sistema Portuale di natura privatistica – prosegue Tarlazzi – non risponderebbe assolutamente all’interesse del Paese, ma rischierebbe al contrario di subordinarlo alle grandi alleanze mondiali dello shipping. Lo Stato non può rinunciare alla sua funzione di controllo e di regolazione del mercato, soprattutto in un momento delicato come quello che stiamo vivendo in cui la spinta inflazionistica rischia di pregiudicare la ripresa economica del nostro Paese”.
“La destrutturazione del sistema portuale – prosegue il segretario generale della Uiltrasporti – rischierebbe di generare le stesse criticità che stiamo vivendo con il modello aeroportuale, in cui la mancanza di regole ha favorito una concorrenza distorta causando la crisi di molte aziende del settore. Sarebbe invece più auspicabile togliere le AdSP dall’elenco Istat delle amministrazioni pubbliche e snellire le procedure per facilitare gli adempimenti strutturali nell’interesse del sistema portuale italiano e per difendere l’occupazione e la qualità del lavoro che da tutto questo potrebbe subire una ricaduta negativa”.
Intanto, il Piano del Mare, si legge nell’introduzione “Ferme restando le relative competenze delle singole Amministrazioni, esso contiene gli indirizzi strategici in tema di: – tutela e valorizzazione della risorsa mare dal punto di vista ecologico, economico, sociale, culturale e logistico; – valorizzazione economica del mare con particolare riferimento all’archeologia subacquea, al turismo, alle iniziative a favore della pesca e dell’acquacoltura e dello sfruttamento delle risorse energetiche; – valorizzazione delle vie del mare e sviluppo del sistema portuale; – promozione e coordinamento delle politiche volte al miglioramento della continuità territoriale da e per le isole, al superamento degli svantaggi derivanti dalla condizione insulare e alla valorizzazione delle economie delle isole minori; – promozione del sistema-mare nazionale a livello internazionale, in coerenza con le linee di indirizzo strategico in materia di promozione e internazionalizzazione delle imprese italiane; – valorizzazione del demanio marittimo, con particolare riferimento alle concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreative.