X Rapporto Nazionale sull’Economia del Mare. Ecco quanto pesa la Blue Economy italiana

L’atteso documento è stato presentato al 1° . Il delegato all’Economia del Mare di Informare, Antonello Testa: “L’Italia si colloca al 3° posto per valore aggiunto tra i Paesi europei, con il 13,5%”

Un documento, atteso da tutto il comparto marittimo, realizzato da Unioncamere e Centro Studi delle Camere di Commercio, Guglielmo Tagliacarne, per conto della Camera di Commercio Frosinone Latina e di Informare. Un documento che definisce il peso della nel nostro Paese. Parliamo del Rapporto Nazionale sull’Economia del Mare che quest’anno è giunto alla sua decima edizione. La presentazione ufficiale è arrivata nell’ambito del 1° Summit Blue Forum Italia Network in scena nel Golfo di Gaeta lo scorso fine settimana. Il Consigliere delegato all’Economia del Mare di Informare, Antonello Testa, entra nel dettaglio dei contenuti del documento che è stato definito una ‘best practice’ a livello europeo dall’Ue.

“I dati che il sistema camerale mette a disposizione di istituzioni, associazioni e imprese sono un riferimento imprescindibile nella definizione delle politiche di sviluppo dei vari settori coinvolti. Grazie alle analisi siamo in grado di rilevare il peso dell’Economia del Mare in termini produttivi, imprenditoriali e occupazionali, il suo ruolo nel panorama nazionale ed europeo e le variazioni nel tempo. – Spiega Testa – Il nostro Rapporto si è imposto nel tempo come una best practice utilizzata anche da moltissime Istituzioni non solo italiane.
Ne è la prova il Blue Economy Report 2022 dell’Unione Europa che mira a migliorare continuamente la misurazione e il monitoraggio della performance socioeconomica dell’economia blu e che, quest’anno, è partito proprio dai dati del nostro Rapporto nazionale.
Come sistema camerale abbiamo sempre fortemente creduto che l’Economia del Mare dovesse avere un ruolo di primo piano all’interno delle politiche nazionali ed europee e il poter disporre di dati puntuali e autorevoli ha concorso ad affermarne sempre di più la centralità”.

Poi il delegato Testa entra nel dettaglio: “Nel Rapporto vengono considerate 7 filiere, individuate sulla base dei codici ATECO: filiera ittica; industria delle estrazioni marine; filiera della cantieristica; movimentazioni di merci e passeggeri; servizi di alloggio e ristorazione; attività sportive e ricreative; ricerca, regolamentazione e tutela ambientale.
Secondo il nostro X Rapporto, l’Italia si colloca al 3° posto per valore aggiunto tra i Paesi europei, con il 13,5%. L’Economia del Mare esprime in Europa 176 miliardi di euro di valore aggiunto, con 4,5 milioni di occupati e un utile lordo di 68 miliardi di euro. L’Italia è al secondo posto nel settore del Trasporto marittimo e al terzo nella Cantieristica navale e nel Turismo costiero. Un elemento di novità assoluta di quest’anno riguarda l’analisi degli investimenti delle imprese dell’Economia del Mare in sostenibilità. Nella costruzione del X Rapporto siamo partiti dalla centralità della Transizione ecologica del mare e dalle indicazioni europee che ci chiedono di favorire le iniziative di networking, anche attraverso un Forum blu per gli utenti del mare.

Dal punto di vista dell’identificazione del perimetro territoriale, l’edizione di quest’anno segna un’importante novità a livello metodologico, con l’adozione del concetto, definito a livello comunitario, delle aree o zone costiere (coastal areas), introdotto dal Regolamento UE 2017/2391 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2017. Un concetto che modifica il regolamento (CE) n. 1059/2003. Questo passaggio è importante perché in questo modo vengono inclusi nell’analisi anche comuni non prettamente collocati sulla fascia costiera ma comunque coinvolti nella sua economia. Nell’identificare il perimetro non vengono più presi in considerazione solo i comuni litoranei, vale a dire i comuni i cui confini toccano il mare, come avveniva nelle precedenti edizioni, ma i comuni che hanno almeno il 50% del loro territorio ad una distanza non superiore ai 10 km dal mare.

Venendo ai dati in senso lato, sicuramente il più importante ed immediato è il Moltiplicatore, un coefficiente che indica quanto valore aggiunto viene attivato, per ogni euro prodotto da un’attività della Blue Economy, in tutte le altre attività, a monte ed a valle, che contribuiscono alla sua realizzazione. Il moltiplicatore che viene fuori dal X Rapporto è pari a 1,7, ciò significa che per ogni euro di valore aggiunto prodotto dall’Economia del Mare se ne ne attivano altri 1,7. Pertanto 51,2 miliardi di Valore Aggiunto prodotto dalla Blue Economy ne attivano altri 84,8 per un totale di 136 miliardi di euro di valore aggiunto che rappresentano il 9,1% della ricchezza nazionale. Tra i comparti che hanno una forza moltiplicativa maggiore, ai primi posti, troviamo Movimentazione di merci e passeggeri con un coefficiente di 2,8 e la filiera della cantieristica con un moltiplicatore pari a 2,4. Importante è il valore aggiunto delle macro aere che vede il Mezzogiorno al primo posto come incidenza sulla sua economia globale dove pesa per l’11,2%. Altro importante indicatore è il coefficiente di crescita del valore aggiunto della Blue Economy e la sua comparazione con quello dell’Economia totale nazionale. Infatti, mentre l’economia totale è decresciuta nel 2020 rispetto al 2019 facendo segnare un – 7,2%, l’Economia del Mare è viceversa cresciuta con un + 3,4 %.

Anche nella dinamica del tessuto imprenditoriale c’è stata una controtendenza: la Blue Economy con le sue 224.677 imprese registrate nel 2021 è cresciuta nel biennio 2021 – 2019 del 2,8%, mentre il numero delle imprese del totale dell’economia ha fatto nello stesso biennio un – 0,4%.

Ultimo importantissimo dato, altra new entry nel Rapporto, è la percentuale di imprese che hanno investito, nel periodo 2016-2020, in sostenibilità ambientale, sia sotto forma di nuovi processi in linea con la transizione ecologica che in nuovi prodotti. Anche in questo caso alle imprese della Blue Economy spetta la medaglia d’oro, in quanto il 29,10% di loro ha fatto investimenti in tal senso contro 22,50 del totale delle imprese Italiane”.