DECARBONIZZARE IL TRASPORTO MARITTIMO: TRACCIA DELLE EVIDENZE CONTENUTE NEL RAPPORTO PUBBLICATO DAL MIMS

Nella giornata di ieri, come già anticipato da questa testata, è stato pubblicato il rapporto edito dalla STEMI, Struttura per la transizione ecologica della mobilità e delle infrastrutture, istituita lo scorso anno ad opera del (Ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibili).

Il rapporto, dal titolo “Decarbonizzare i trasporti, evidenze scientifiche e proposte di policy”, tiene conto dei recenti sviluppi della crisi ucraina e offre una panoramica delle opportunità e criticità legate alla transizione energetica.

Per quanto riguarda il trasporto navale, il rapporto approfondisce nel capitolo 4 (pag. 38-48) gli aspetti riguardanti, rispettivamente, il raggiungimento dell’efficienza, il ricorso a tecnologie e combustibili alternativi, la compensazione delle emissioni e, infine, le priorità per la del settore.
Si parta, anzitutto, da una premessa: “nel 2019 il traffico navale in Italia ha emesso 4,5 Mt CO2 di gas serra, pari all’1,1% delle emissioni nazionali complessive” (v. ISPRA, Italian greenhouse gas inventory report 1990-2019 – National Inventory Report 2021).

Dunque, il trasporto navale è già oggi molto più sostenibile delle altre forme di trasporto ma, ciononostante, dovrà contribuire al raggiungimento degli obiettivi di efficienza energetica fissati dalla comunità internazionale.

Non sarà facile, tuttavia, attuare questo processo di decarbonizzazione. Due dei presupposti alla base dell’attuale modello produttivo, infatti, sono già in discussione e potrebbero rivelarsi nel medio e lungo termine non più validi. In particolare, ci si riferisce:

-alla disponibilità sostanzialmente illimitata di combustibile e alla capacità di carico a basso prezzo che rendono trascurabili i costi di trasporto;

-alla vigenza limitata di regole e politiche volte a mitigare le emissioni inquinanti e climalteranti in acque internazionali.

Per quanto riguarda la ricerca di tecnologie e combustibili alternativi, il rapporto sostiene l’elettrificazione dei porti e delle navi pur riconoscendo che “la bassa densità di energia delle batterie limita l’applicabilità dell’elettrificazione integrale alle brevi distanze”.

Per le tratte più lunghe, ammette lo stesso MIMS, “l’elettrificazione integrale non è un’opzione e la decarbonizzazione deve puntare necessariamente a combustibili alternativi”.

Ma, anche qui, il percorso sembra tutt’altro che agevole. Gli esperti del MIMS, difatti, osservano che le “soluzioni di decarbonizzazione per lunghe distanze non sono oggi a portata di mano e lo potranno eventualmente essere solo a seguito di significativi sviluppi tecnologici”. A tal proposito, occorre considerare:

-l’enorme quantità di combustibile necessaria al funzionamento delle navi su lunghe tratte;

-la completa e attuale dipendenza del trasporto navale da combustibile fossile che, tra l’altro, ha costi di acquisto inferiori rispetto alle fonti energetiche alternative;

-per l’appunto, la complessità del ricorso a combustibili alternativi.

Proprio su quest’ultimo punto, il rapporto ha analizzato benefici e svantaggi legati all’utilizzo di combustibili alternativi quali il , il METANOLO e gli IDROCARBURI SINTETICI, i BIOCOMBUSTIBILI e, infine, l’IDROGENO e l’.

Secondo il MIMS, il GNL sembra essere la soluzione più immediata per diversificare l’utilizzo del combustibile tradizionale per le navi ma, anche qui, vengono posti alcuni dubbi. In primis, le fluttuazioni dei prezzi degli ultimi mesi hanno totalmente annullato il vantaggio economico del gas fossile rispetto ai combustibili tradizionali. In secundis, osserva il MIMS, i vantaggi ambientali del GNL di riduzione delle emissioni di inquinanti atmosferici potrebbero essere vanificati dalle c.d. emissioni fuggitive di metano (v. Anderson, M., Salo, K. & Fridell, Particle and Gaseous Emissions from a LNG Powered Ship. Environmental Science & Technology, 49, pp. 12568-12575).

Quanto al metanolo, agli idrocarburi sintetici e ai c.d. biocarburanti, il rapporto evidenzia che l’idoneità ambientale di queste fonti di alimentazione dipende dal metodo di produzione, come per tutti i combustibili. Al momento, tuttavia, questa soluzione non sembra applicabile per l’assenza di adeguati sviluppi tecnologici “su larga scala”, per gli alti costi di produzione (superiori a quelli dei ) e, infine, per l’assenza di un quadro normativo che ne faciliti la diffusione.

Vi sono poi l’idrogeno e l’ammoniaca. La produzione dell’idrogeno è per il momento limitata a progetti di piccola scala ed è ancora soggetta a costi non competitivi. L’ammoniaca, invece, sembra avere un maggiore potenziale visto che, si legge nel rapporto, può essere utilizzata:

-come vettore di idrogeno che viene liberato attraverso processi catalitici;

-come combustibile, richiedendo però l’utilizzo di altro carburante pilota per sostenere il processo (es. un biocombustibile) e motori capaci di utilizzarla;

-in celle a combustione ad ammoniaca, anch’esse in una fase non tecnologicamente disponibile.

Si tratta, ad ogni modo, di una tecnologia che, al pari dell’idrogeno, “richiede uno sviluppo di almeno 10 anni” e che, comunque, comporterà la risoluzione di molteplici limiti di carattere normativo (non vi è una normativa che disciplina, specialmente, gli aspetti di sicurezza) e infrastrutturale (realizzazione di sistemi di bunkeraggio).

Sulla scorta di quanto finora riportato, pertanto, il settore dei carburanti alternativi non sembra ancora maturo per un utilizzo su larga scala così come si evince dai successivi grafici, estratti da ricerche internazionali e riportati a pagina 46 del rapporto.

Non solo, i carburanti alternativi sembrerebbero ostacolare l’obiettivo di indipendenza energetica che il Governo Italiano intende perseguire nei prossimi anni così come risulta dal seguente grafico (v. pag. 75 del rapporto).

Viene ora il momento delle considerazioni personali.

Ad avviso di chi scrive, la forza di questo rapporto sta nell’essere un invito alla lettura della complessità.

Perché, ove non fosse ancora chiaro, la decarbonizzazione dei trasporti comporta delle scelte che hanno conseguenze sul piano dei consumi individuali e sociali, sul piano economico e politico, strategico e geopolitico, infrastrutturale e ambientale.

Coglie nel segno, difatti, un passaggio finale del rapporto in cui si afferma che “è necessario tenere presenti le molte condizionalità, i limiti produttivi, le soluzioni tecnologiche oggi già disponibili e quelle più promettenti per il prossimo futuro”.

Ancora di più, cattura l’attenzione una delle conclusioni del rapporto da cui si evince che “il nuovo sistema energetico non potrà essere sviluppato bottom-up, ma dovrà essere progettato sulla base di studi e modelli di ottimizzazione tecnico-economica. Non è possibile, difatti, compiere scelte aprioristiche su determinate soluzioni tecnologiche nella considerazione (come già avvenuto in passato con carbone, petrolio e gas) che i vettori siano una commodity praticamente inesauribile al di là dei problemi ambientali/climatici, della disponibilità e della sicurezza energetica”.

Dunque, i combustibili alternativi hanno anch’essi dei limiti quantitativi e di prezzo (a carico degli operatori di trasporto e, indirettamente, dei consumatori) da cui non si potrà prescindere se non si avvicineranno le catene di approvvigionamento (c.d. Filiera Corta o ) e, soprattutto, se non si ridurranno i consumi individuali di beni e gli spostamenti degli stessi da un continente all’altro.
Occorrerà, in sostanza, tener conto di questa variabile se si vorranno realizzare gli obiettivi di decarbonizzazione dei trasporti.

Vi sono poi diverse sfide regolatorie da affrontare. Una di esse riguarda la fiscalità: l’Italia, nel Mondo, è uno dei paesi con la più alta tassazione nei settori dell’energia e dei trasporti. Il decremento dei consumi di carburanti fossili si rifletterà sul gettito fiscale (si pensi alle attuali accise sulla benzina) che viene utilizzato per il finanziamento pubblico di diversi settori.
Anche su questo fronte, pertanto, ci si dovrà muovere con prudenza e lungimiranza.