L’evento denominato “Brindisi – La nuova rivoluzione industriale sotto banchina”, organizzato pochi giorni fa dall’International Propeller Club Port of Brindisi, ha portato in dote un patrimonio di idee e suggerimenti estremamente interessanti per Brindisi e l’intera portualità nazionale.
Particolarmente significativi sono stati gli interventi di Mario Sommariva, Presidente dell’Autorità di Sistema Portuale del Mar Ligure Orientale, nonché quelli di Ivano Russo, Direttore Generale di Confetra, e Alessandro Panaro, Responsabile Maritime&Energy del Centro Studi SRM – Banca Intesa.
Proprio l’intervento di Panaro, a mio parere, ha lasciato emergere alcuni dati (in allegato) estremamente utili per conoscere lo stato di salute della portualità internazionale, nazionale e brindisina e, di conseguenza, programmarne l’avvenire.
Sul fronte internazionale, Panaro ha osservato che:
-nei prossimi cinque anni, il Mar Mediterraneo rappresenterà il secondo mare, dopo quello cinese, per crescita del traffico container;
-la corsa al gigantismo navale non si è ancora interrotta;
-si sta sviluppando un fenomeno di globalizzazione su scala regionale (l’Italia, in questo contesto, rappresenta il paese leader europeo nei traffici di SSS – Short Sea Shipping, con una quota di mercato del 37% – su scala mediterranea – pari a 244 milioni di tonnellate movimentate);
-il fenomeno del c.d. “Reshoring”, secondo un recente sondaggio condotto dalla Banca d’Italia su un campione di 3000 imprese, avrà un minimo impatto sull’economia nazionale.
Passando al fronte locale, invece, l’analisi di SRM ha messo in rilievo che il porto di Brindisi:
-nel quadriennio 2017/2020 ha registrato circa 10 milioni di tonnellate di traffico RO-RO nonché 31 milioni di tonnellate di merci movimentate;
-nel medesimo lasso temporale, ha mostrato un tasso di apertura internazionale (Importazioni, Esportazioni, IVA) superiore di quasi un punto percentuale alla media meridionale (29,8 vs 29,1%), una propensione all’export e una fortissima specializzazione alla produzione in settori ad alta intensità tecnologica;
-assieme al porto di Bari, movimenta il 27% dell’intero traffico RO – RO nel Mar Adriatico;
-quanto ad esportazioni (prevalgono Chimica, Gomma Plastica, Alimentare, Meccanica, Farmaceutica), si rivolge a mercati di medio (Francia, Spagna, Grecia, Turchia ecc.) e lungo raggio (Cina, USA, Giappone ecc.).
Sulla scia di queste considerazioni, il Centro SRM ha concluso il proprio studio definendo le future direttrici di sviluppo del porto di Brindisi ossia:
-il mantenimento e il rafforzamento della posizione c.d. Multipurpose in grado di conferire resilienza al porto e rispondere alle esigenze del c.d. Reshoring;
-il rafforzamento del traffico di Short Sea Shipping pur nella consapevolezza, avverte SRM, che il gigantismo navale può determinare qualche cambiamento dei traffici;
-il monitoraggio delle rotte energetiche e lo sviluppo del progetto GNL;
-lo sviluppo delle ZES e ZFD, da portare avanti nel pieno rispetto delle vocazioni industriali locali e attraverso una adeguata campagna comunicativa.
In altre parole, stigmatizza Panaro, “Il porto deve andare nella direzione strategica 6.0; la conoscenza delle dinamiche di ciò che vi gira intorno è assolutamente fondamentale”.
Proprio quest’ultimo monito, ad avviso di chi scrive, deve accompagnare tutte le amministrazioni (locale, regionale, nazionale) coinvolte nel rilancio del porto di Brindisi. Perché, diciamolo francamente, i continui richiami al passato nonché al posizionamento geografico non possono più garantire un avvenire certo e prospero a questo territorio.
La crescita del porto di Brindisi (e, in generale, di tutti gli scali portuali nazionali) non potrà mai arrivare a compimento se non si sosterrà il sistema industriale che circonda, a livello locale, regionale e interregionale, lo stesso scalo. Le navi cercano le merci, non i porti, e senza la definizione di una strategia industriale per questo territorio, il porto di Brindisi non troverà mai la propria consacrazione né riuscirà ad ammortizzare i propri investimenti infrastrutturali.
Proprio in quest’ottica, può apparire illuminante l’esempio citato da Ivano Russo durante il proprio intervento: nel 2017, tutti i porti liguri (Genova, La Spezia ecc.) hanno registrato una movimentazione record nel traffico contenitori, di poco inferiore ai 4 milioni di teu. Ebbene, nonostante questo record e secondo gli osservatori economici regionali, il prodotto interno lordo della Liguria è cresciuto in quell’anno solo del 0,1%.
I porti alimentano l’industria (dei servizi, del turismo, della manifattura, dell’energia, della logistica ecc.) e l’industria alimenta i porti.
Senza la definizione di una politica di sviluppo industriale, la crescita dei traffici portuali non arreca alcun beneficio allo sviluppo economico di un territorio ma, al contrario, genera diseconomie.
A questo proposito, alcuni degli operatori industriali partecipanti al convegno – penso alla Lotras e alla stessa Enel – hanno già posto l’attenzione sull’assenza di una programmazione industriale nel territorio di Brindisi e di un continuo confronto tra i diversi livelli territoriali.
Serve, dunque, un impegno del Governo, della Regione e di tutti i rappresentanti nazionali a Roma e Bruxelles per poter gestire la delicata transizione industriale di questo territorio e il suo rilancio. La cooperazione tra i vari attori istituzionali, da un lato, e la riproduzione di buone pratiche altrui (a La Spezia, il Presidente Sommariva ha sottoscritto dei protocolli d’intesa con i player energetici attivi sul territorio per la riqualificazione delle aree portuali: v.
https://www.ansa.it/mare/notizie/portielogistica/news/2021/07/22/green-deal-porto-spezia-con-enel-e-snam-decarbonizzazione_ab2cc8e9-00ff-4b3a-89fe-4c9f51c95ceb.html) determineranno il successo, o l’insuccesso, del processo di rilancio del porto e, in generale, della città di Brindisi.