Porto di Haifa in vendita

. Il Governo israeliano, già nell’anno scorso, aveva approvato il piano per la privatizzazione del porto di Haifa, dopo la riforma sui porti del 2005: si doveva incidere sui mercati con infrastrutture adeguate e attrarre nuovi traffici merceologici. Haifa, città posta nella parte settentrionale di Israele, ha il più grande porto del Paese e con il maggior numero di traffici di merci.


Al bando emanato dalla Government Companies Authority (GCA) – organo istituzionale che sta gestendo la vendita – sono in corsa quattro gruppi di investimento che stanno cercando di acquisire il porto israeliano di Haifa, stimato per un valore di 600 milioni di dollari.


Le offerte previste saranno formalizzate entro ottobre prossimo per chiudere una campagna di una nuova strategia israeliana in tema di portualità: vendere i porti statali non competitivi e costruire nuovi moli privati nel tentativo di incoraggiare la concorrenza e ridurre i costi di gestione delle infrastrutture e ridurre la prassi burocratica.


Allo stesso tempo si sta operando in legami economici con i vicini paesi arabi creando nuove opportunità commerciali, rivalutando e sfruttando la posizione geografica del porto di Haifa per farlo diventare un hub regionale. Infatti, da quest’anno, ha preso il via il terminal gestito dalla cinese Port Group (SIPG), sito lungo la costa israeliana ed è per questo che il porto di Haifa dovrà essere aggiornato nelle sue infrastrutture se vorrà competere. L’innovativo terminal container, con fondali a – 17,3 metri, si trova vicino al vecchio porto di Haifa e consente di scaricare velocemente grandi navi lunghe 400 metri e larghe 62 che trasportano più di 18.000 container.


Il bando dovrà dichiarare il concorrente scelto entro la fine di quest’anno con la proprietà da trasferire all’inizio del 2022 e la concessione avrà validità fino al 2054.
L’aggiudicatario della gara dovrà impegnarsi per un investimento minimo di 290 milioni di dollari, di cui 115 milioni di dollari andranno per investimenti in infrastrutture. I lavoratori del porto riceveranno un ‘bonus di privatizzazione’ e una parte del finanziamento verrà utilizzata per la compensazione dell’interruzione dal lavoro per circa 200 posizioni.


I gruppi che si stanno contendendo il porto di Haifa provengono da Israele, Europa, India ed Emirati Arabi Uniti, che solo l’anno scorso hanno normalizzato i legami economici con Israele.
Una nota della GCA afferma che la vendita è stata “un processo ordinato e internazionale”, aggiungendo: “la geopolitica non è un fattore”.


Per attirare investitori, evitando la concorrenza con il terminal gestito dalla Cina, posizionato proprio nella baia, Israele sta vendendo il porto di Haifa e relativo entroterra da sviluppare per una crescente domanda di beni per i investitori e consumatori. Anche se questo ha messo in allerta la diplomazia americana.
Uno dei quattro gruppi concorrenti al bando, la Israel Industries che sta operando un’offerta congiunta con la DP World di Dubai, è convinta che il progetto è fattibile per rendere il porto di Haifa ‘– porta del Mediterraneo’.


La britannica DAO Shipping che sta collaborando con il fondo infrastrutturale israeliano Generation Capital e la Compagnia di Navigazione Lomar, con il gruppo leader Libra, con sede a Londra, sta finalizzando la sua partecipazione al consorzio, affinché il porto di Haifa diventi un importante porto di merci alla rinfusa, di automobili, ro-ro e anche come porto per crociere da/per tutta la regione compresa la Palestina. Sono convinti di avere tutto il potenziale per trasformare il porto in un hub strategico multi – carico che andrà a beneficio di Israele e della regione in generale.


L’altro concorrente è l’Adani Ports dell’India che sta partecipando separatamente con il Gadot Group di Israele e un quarto pretendente, la società israeliana Shafir Engineering che in questa fase non ritengono di rilasciare dichiarazioni in merito.
Tutto questo avviene in un momento in cui i porti, a livello mondiale, sono alle prese con complessi problemi di congestione. I ritardi, causati in gran parte da intoppi nella catena di approvvigionamento, sono ulteriormente cresciuti durante la pandemia, allungando i tempi di consegna e aumentando i costi di spedizione. Più del 99% del commercio israeliano avviene via mare, pertanto, l’apertura d’infrastrutture aggiuntive sarà vitale per risolvere le congestioni, consentire prezzi al consumo più bassi e creare nuovi posti di lavoro.