L’autoproduzione delle operazioni e dei servizi portuali nella prospettiva “covid”

L’uomo per sua nobile natura ha nello spirito di adattamento una prerogativa quanto mai esclusiva e necessaria specie in momenti storici, come quelli riconducibili a un’ sanitaria grave e perdurante, capaci di incidere sulle libertà e sull’autodeterminazione delle proprie scelte comportamentali ovvero sulla sua futura esistenza.

Fatta tale premessa, attualizzare a oggi, è evidente che la pandemia, lontana dall’essere debellata, ha inferto duri colpi anche sul terreno economico e produttivo delle Autorità di Sistema Portuali, notoriamente organismi complessi con servizi particolari dedicati ai traffici marittimi di merci e passeggeri.

E altrettanto complesse sono le categorie, specificatamente in questa sede, riconducibili al lavoro portuale spesso rappresentato da compagnie portuali autorizzate ex art. lo 17, disciplina della fornitura del lavoro portuale temporaneo come in legge 84/94, meglio nota come legge di riforma del sistema portuale Italiano promulgata anche in ossequio alle direttive comunitarie che tanto hanno legiferato sul tema porti, operazioni portuali, servizi portuali, monopolio e concorrenza. Ed in effetti il mercato della mera fornitura di manodopera segue di massima, due modelli alternativi: la costituzione di un consorzio volontario per la fornitura di manodopera portuale temporanea ovvero la istituzione, da parte della AdSP ( Autorità di Sistema Portuale) di una agenzia a cui rifarsi per prestazioni temporanee ad alto contenuto di manodopera selezionata in base ad una procedura aperta che ne verifichi l’affidabilità tecnica ed economica e soprattutto sia indipendente,  anche per aspetti societari, da altre imprese autorizzate ex art.li 16, 18, 21 sempre della legge n.84/94.

Seguono altresì i criteri di merci e suoi volumi nell’articolazione e interazione logistica affinché, la stessa AdSP, ne stabilisca con provvedimento il numero massimo di a rilanciarsi sempre traguardandone l’operatività e la competitività.

Volendo ricordare sinteticamente anche ai non addetti ai lavori, per “operazioni portuali” s’intendono le attività che riguardano, il ciclo delle merci imbarcate, sbarcate, movimentate, in transito e depositate in spazi portuali sempre con riferimento ai due contratti principali ovvero il e il deposito temporaneo.

Di converso, per “servizi portuali” s’intendono prestazioni commerciali specialistiche complementari e accessorie al ciclo delle operazioni portuali ed individuati con appositi atti amministrativi dalle singole AdSP sulla base di criteri vincolanti emanati dal dei Trasporti, anche in considerazione della classificazione dei porti e della loro organizzazione interna operativa. Trattasi comunque di servizi contigui all’utilizzo della mera manodopera, quali quelli molto diffusi di rizzaggio e derizzaggio di merci e autoveicoli che presuppongono una pur minima organizzazione di lavoro se pur modesta nell’ambito del committente terminalista ad esempio.

A onor del vero, lunga sarebbe la lista delle categorie dei servizi portuali individuati proprio dal decadimento delle sentenze sia domestiche sia della Comunità  Europea: cito solo quei servizi indicati dall’art. lo 36 del – servizi oggetto di marittime – e dall’art. lo 68 C.N. – servizi cd residuali ovvero svolti occasionalmente non ascrivibili a categorie tipizzate sempre sottoposti alla vigilanza e della AdSP e dell’Autorità Marittima.

Ma ritornando al nostro argomento di partenza, l’ autoproduzione del lavoro portuale, come indicato nell’ art. lo 16 c.4 lett. d della legge 84/94, che consente a favore dei vettori marittimi la possibilità di esercizio delle operazioni portuali da effettuarsi all’arrivo o partenza della nave dotate di propri mezzi meccanici e di proprio personale adeguato alle operazioni portuali determinandone corrispettivo e cauzione sotto il controllo della AdSP, specie in tema di adeguatezza e professionalità del personale medesimo attivato in autoproduzione se pur a carattere occasionale.
Non solo . La legge di prevede altresì al comma 3 dall’art. lo 16 le autorizzazioni ad operare per conto terzi come annualmente stabilite dalle AdSP  quindi a carattere duraturo ipotizzando apposite strutture terrestri stabili. Quindi è la nave ad autoprodurre servizi per il tramite di suo personale e di propri mezzi tecnici e meccanici pur dovendo garantire all’organo di controllo le migliori condizioni di sicurezza.

Non è l’unica ipotesi: abbiamo il terminalista come autorizzato nell’uso di una porzione di banchina demaniale marittima anche se in questo caso le limitazioni all’autoproduzione riguardano il ciclo delle operazioni portuali, come individuate e garantite dal contenuto autorizzazatorio/concessorio ex art.li 16 e 18  legge 84/94.

In sintesi e volendo precisare l’autoproduzione nello shipping, con mutuabili confini spesso rimessi alla giurisprudenza che nel mantenere adeguati livelli di  uniformità e di sicurezza anche in attività di lavoro autoprodotto,  ne fa una caratteristica fondamentale spesso, nel nostro ordinamento portuale, lasciato alle singole Autorità Marittime che dovrebbero definire gli standard di safety per equilibrare al meglio la tutela della sicurezza marittima e la gestione dello scalo in  cui si autoproduce,  superando l’ approccio conservativo.

In un quadro cosi delineato,  va a collocarsi la legge n.77 del 2020 di conversione del Decreto Legge n. 34 del maggio 2020, meglio noto come “Decreto Rilancio” in cui il Ministro dei Trasporti, tra le altre, ha inteso prevedere nell’articolo 199 la possibilità che la singola AdSP corrisponda al soggetto fornitore di lavoro portuale un contributo economico per il biennio 2020/2021, riconducibile alla flessione dei traffici come conseguenza della pandemia prorogando proprio di due anni le autorizzazioni per i fornitori di lavoro portuale. Poi nell’articolo 199-bis, ha introdotto requisiti più restrittivi ai fini dell’esecuzione in autoproduzione delle operazioni portuali, prevedendo l’autoproduzione solo qualora non sia possibile soddisfare la domanda di svolgimento delle predette operazioni  né mediante le imprese autorizzate, né tramite il ricorso all’impresa od agenzia per la fornitura di lavoro portuale temporaneo.

Si è intervenuti legislativamente a modifica dall’art. lo 16 comma 4 lettera d, oggi abrogata con il nuovo comma 4 – bis, che consente agli armatori  di svolgere le operazioni portuali in regime di  autoproduzione con personale dedicato e con mezzi adeguati. Tale prerogativa residuale si colloca nel non poter soddisfare la domanda di lavoro portuale, si ribadisce, né mediante le imprese autorizzate ex art. lo 16 né mediante quelle autorizzate per la fornitura di lavoro temporaneo ex art. lo 17.

Queste nuove stringenti se pur garantiste disposizioni non mancheranno di creare contenziosi, magari potenziali ai tempi del coronavirus, ma pur sempre attuali stanti l’attuale asset normativo dello shipping in tema di lavoro portuale. Non mancheranno altresì di creare diversità di vedute legali tra diverse AdSP ovvero tra organi giurisprudenziali amministrativi e organi amministravi governativi riconducendo il problema a più disarticolate letture.

L’emergenza sanitaria  globale in corso è  l’occasione o forse sarebbe la migliore occasione, per teorizzare una  forma legislativa tipo testo unico al solo fine di rendere uniforme l’ approccio, ma sopratutto delineare con maggiore fermezza le ipotesi fattuali riconducibili all’ importante  se pur “atipico” istituto contrattuale dell‘autoproduzione del quale, è  bene ricordarlo in questa sede, la e taluni giudici superiori italiani, non hanno una buona considerazione proprio per la lesione, si sottolinea , del principio economico della libera concorrenza e dell’ assenza di posizione dominante se pur nel ristretto mercato interno lo scalo portuale.

Auspicabile poi la creazione di uniformità.  Uniformità all’interno del sistema portuale oggi esteso a più porti all’interno della stessa Autorità,  ma uniformità della casistica per garantire chiarezza operativa e garanzia di certezza economica verso un’azione che da molti è intesa come un diritto all’autoproduzione . Diritto che, a parere dello scrivente, è lontano dall’ essere quella situazione soggettiva,  attiva e valida nei confronti di chiunque.

L’occasione della pandemia sia propizia per riflettere sulla necessità di maggiori garanzie per i lavoratori di settori strategici ma spesso fragili proprio per la diretta dipendenza col mercato e alle variabili che esso racchiude ancor più nella complessa cornice del porto .