Roma. I valori dei traffici delle merci transitati nei porti italiani vanno considerati in rapporto alla crescita economica e commerciale prima del diffondersi della pandemia. La regionalizzazione delle supply chain sempre più spinta, il continuo riequilibrio dell’economia cinese, il ruolo sempre più ampio della tecnologia, i servizi logistici e soprattutto un’agenda politica più votata a salvaguardare l’ambiente, sono stati questi i punti focali che hanno portato ad una revisione sostanziale del processo dei trasporti marittimi.
Il forte impatto della pandemia sul Pil e sul commercio mondiale ha fatto registrare un inizio anno 2020 caratterizzato da un considerevole rallentamento nell’import/export e con relative conseguenze sullo shipping mondiale. Secondo il Fondo Monetario Internazionale l’economia mondiale nel 2020 sta registrando una flessione del 3%; nel 2009, dopo il fallimento di Lehman Brothers, la caduta del Pil globale si fermò allo 0,6%.
E basterebbero questi numeri per far capire quanto sia grave questa crisi, che, sempre secondo il FMI farà scendere il Pil italiano del 9,1%, due punti in più delle altre grandi economie europee. Questa crisi ha colpito in pieno tutto il cluster marittimo travolgendo compagnie di navigazione, porti, terminal e l’intera catena logistica. Dopo la prima fase della pandemia, caratterizzata più su come organizzare i servizi portuali relativi al calo delle quantità di merci sbarcate /imbarcate e a garantire i livelli occupazionali, le varie AdSP della portualità italiana sono state impegnate sui problemi finanziari e fiscali e su come aiutare le imprese di navigazione e portuali.
Infatti, le navi da crociera, molte sono ancora ferme, e i traghetti stanno viaggiando solo per garantire la continuità territoriale delle isole e il traffico merci indispensabile al rifornimento del Paese. In questo scenario vanno analizzati i numeri concernenti il calo dei traffici marittimi nei vari porti italiani. In particolare, riportiamo quelli dell’AdSP del Mare Adriatico Meridionale: i porti di questo sistema (Bari, Brindisi, Manfredonia, Barletta e Monopoli) hanno movimentato 3,73 milioni di tonnellate di merci, con un calo del -11,2% sul periodo luglio-settembre del 2019, di cui 2,71 milioni di tonnellate allo sbarco (-10,7%) e 1,01 milioni di tonnellate all’imbarco (-12,6%).
Per via del lockdown italiano e dei paesi frontalieri del Sistema portuale dell’Adriatico Meridionale, dovuto al covid-19, si registra una diminuzione percentuale rispetto al 2019 delle merci varie, dei carichi ro-ro, dei container; crescono i cereali e le tonnellate di derrate alimentari, mangimi e oleaginosi; aumentano anche i prodotti metallurgici e rinfuse secche. Il traffico delle rinfuse liquide si è attestato a 746 mila tonnellate (+3,4%), di cui 469 mila tonnellate di petrolio grezzo (+17,8%), 139 mila tonnellate di prodotti petroliferi raffinati (-17,3%) e 139 mila tonnellate di altri carichi (-7,3%). Nel terzo trimestre del 2020 il traffico dei passeggeri nei porti del Sistema dell’Adriatico Meridionale è stato di 251mila persone nel segmento dei traghetti (-72,7%) e 3 mila in quello delle crociere (-99,1%).
Nei primi nove mesi del 2020, i porti dell’AdSPMAM hanno subito complessivamente una flessione dell’8% sul periodo gennaio/settembre dello scorso anno; flessione piuttosto contenuta rispetto ad altri porti italiani. Le domande che ci poniamo sono le seguenti: a) Lo Stato, come potrà svolgere la sua parte a sostegno di servizi logistici, portuali e marittimi di importanza strategica per l’economia e la struttura produttiva del Paese? b) E quali sono i porti d’importanza strategica? La recente storia economico/marittima del Mediterraneo, in cui si registra una sostanziale assenza dell’Unione Europea, ci dice che oggi i porti strategici sono quelli dimenticati del Mezzogiorno d’Italia. It’s time for change.
Abele Carruezzo