Piano Colao: i porti sono strategici per la ripresa economica dell’Italia

Roma. Impegnare tutti gli “stati generali” del Governo di turno non è sufficiente, anche se tutti concordano sull’importanza strategica che uno scalo portuale può dare in termini di ripresa economica del suo . Svolgere tutti i “consigli comunali”, del sindaco di turno, di una città di mare per esprimere l’importanza di un porto per la città stessa e scoprire nel tempo che è solo strategia per rimanere in carica, sia come giunta e sia come consiglieri comunali, non è sufficiente.

Da sempre si è affermato che un porto senza le navi non è un porto, ma una distesa di acqua; un porto per esprimere tutte le sue fasi di una polifunzionalità, espressa storicamente, ha bisogno di servizi (facility) per le navi, per il carico da sbarcare e/o imbarcare e per i passeggeri. Si parla e … si parla! Ora si sono aggiunti i webinar tanto di moda, ma di vere operazioni portuali, del “fare porto” nemmeno a sentir parlare. Una legge di riforma portuale, la Delrio, viene messa in discussione anche dalla stessa che sostiene il Governo Conte. Infatti, il tavolo nazionale che avrebbe dovuto segnare una svolta decisiva nel governare un sistema portuale rimane insufficiente e applicata solo per mettere in difficoltà i vari presidenti di AdSP.

La stessa Ministra De Michele che ha visitato le tante portualità italiane ha dichiarato “promesse” di ripresa dei vari progetti di ammodernamento dei vari scali (e speriamo che non siano solo Genova, Trieste e Taranto). Anzi, le sue visite hanno rimarcato che i vari presidenti dei sistemi portuali sono stati lasciati “soli” (senza condivisioni dei vari enti territoriali) e i vari accorpamenti portuali della “Delrio”non hanno prodotto armonizzazione e funzionalità del sistema; l’illusione di creare  “una sola banchina” distribuita per tutto il sistema portuale non ha favorito sviluppo territoriale e ha messo in discussione le varie modalità di applicazione di una legge nazionale, diverse da porto a porto.

Il caso di Zeno D’Agostino, del porto di  Trieste, (sentenza dell’Anac che ha dichiarato illegittima la nomina a presidente dell’AdSP) è stato l’ultimo passaggio a certificare una situazione non più sostenibile della portualità italiana. Una burocrazia espressa dai vari enti – preposti – a valutare le varie opere progettuali mette in crisi i vari piani di opere portuali triennali, esautorando lo stesso compito dell’AdSP chiamata per legge a promuovere uno scalo portuale e renderlo competitivo.

Comune, Regione e Provveditorato alle OO.PP. si affannano a dimostrare la propria esistenza (diversamente nelle varie realtà portuali italiane) nei confronti di opere che sono “opere pubbliche”e che concorrono a rendere gli asset portuali funzionali all’intero Paese. Basta ricordare il “caso Brindisi” con vari progetti finanziati e bloccati: i nuovi accosti di Sant’Apollinare (55milioni di fondi Ue), la di (35 milioni, Por ), il potenziamento in sicurezza degli delle navi ro-ro a Costa Morena Ovest e la realizzazione di un pontile a briccole (9,3 milioni, Por Puglia), la riqualificazione dell’area adiacente al varco di Costa Morena Ovest (1 milione di euro, Interreg Italia – Grecia), la nuova info point (100 mila euro, bilancio dell’AdSPMAM).

In molti di questi casi, (Genova, Napoli, Trieste, Ancona, Ravenna) l’azione dei vari presidenti di AdSP è stata mera interpretazione di una legge poco chiara oppure riguardano solo conflitti tra istituzioni portuali e marittime. Le conseguenze dei provvedimenti emanati dai molti enti – c.d. preposti –  che ne derivano non fanno altro che rallentare l’azione amministrativa dei progetti portuali, oltre alla decapitazione del governo portuale (caso Zeno). Ed allora, il Governo Conte con il suo MIT dovrebbe comprendere che gli asset portuali non possono essere modulati e operati con “passerelle o stati generali”, ma con una forte determinazione e piena responsabilità delle azioni amministrative.

Anche il Piano Colao ha messo in chiaro i vari provvedimenti e processi per una vera ripresa economica dell’Italia dei porti, definendoli “Misure per il potenziamento dei porti e dei loro collegamenti terrestri”.

a) Estendere i corridoi ferroviari merci (RFC) europei, attivati e in corso di attivazione, sino all’interno dei porti internazionali;

b) Ampliare il perimetro della rete ferroviaria nazionale con l’inclusione dell’infrastruttura ferroviaria portuale;

c) Convertire aree portuali in disuso in Zes e Zls per svolgere attività legate ai depositi doganali;

d) Promuovere e incentivare le iniziative già completate di digitalizzazione dei porti (sdoganamento in mare, fascicolo elettronico, fast corridor), riducendo così la disomogeneità dei porti italiani ed eliminare lo stop and go delle merci nei porti.

Il settore portuale italiano, di contro, propone al Governo un forte intervento “sblocca – porti” relativo a immediatamente cantierabili; una seria dei fondi strutturali 2021/2027 per poter rilanciare i porti del Mezzogiorno; rilancio immediato delle Zes e delle Zls per favorire gli investimenti degli imprenditori portuali. Ora che i programmi sono stati esposti occorre chiarezza da parte del Governo e delle forze politiche a “fare e a fare presto”.