In pochi mesi, il caos provocato dal coronavirus ha cambiato il mondo. La risposta all’epidemia, più del virus stesso, ha il potenziale per alterare permanentemente l’equilibrio dell’economia globale. Potrebbe essere l’occasione per innescare un cambiamento nel settore del trasporto marittimo, in particolare la decarbonizzazione e la digitalizzazione delle operazioni delle navi.
Come le bolle virtuali della visione del mondo, create dagli algoritmi dei social media e dalle notizie false, l’industria dello shipping sta vivendo nella sua terra di fantasia di digitalizzazione, alimentata dalla delusione dei fornitori e dalla disinformazione dei media. Il cambiamento sta avvenendo, ma molto più lentamente e in modo non uniforme di quanto si sostiene. La tecnologia attualmente presente a bordo delle navi, nei centri operativi gestiti dagli armatori e nelle sedi delle compagnie di navigazione risulta ancora frammentata e disconnessa. La vision descritta dai leader della tecnologia e ripetuta fedelmente nei talk show e dalla stampa marittima sembra vivere in una bolla virtuale separata dalla realtà fisica.
L’attuale crisi spingerà le navi fuori dal mercato? Il quadro economico cambierà abbastanza da generare un nuovo modello di nave? Un noleggiatore quanto dovrà pagare una nave verde con un equipaggio qualificato e con a bordo le ultime tecnologie, se poi i porti non si sono ancora evoluti per operare detto traffico? Operatività delle navi e dei porti saranno le discriminanti per dominare un futuro “prossimo venturo”.
Affermare che un porto è crocevia delle catene di approvvigionamento, che connette modalità di trasporto, energia ed industria blu, fa parte di una figura retorica, fin quando una pianificazione portuale non influenza il territorio e la città di mare che ne “cum plana” la sua geografia economica generando occupazione. Un porto e il suo organo di gestione sono al servizio dell’economia e della società territoriale, cittadina e regionale del sistema portuale.
I management di un porto e della rispettiva città di mare sono partner strategici di un piano che deve rispondere alle principali sfide odierne di decarbonizzazione e digitalizzazione. L’organizzazione di un Sistema portuale non può essere al servizio solo di un porto, ma dovrà essere funzionale a tutti i porti del sistema per consentire di sviluppare ulteriormente l’intera regione e per essere competitivo. Poiché i porti di un Sistema hanno un ruolo diversificato, l’obiettivo stesso del Sistema portuale dovrà essere di “facilitatore” di un processo trasportistico sostenibile al servizio degli utenti che coinvolgano interessi molto più ampi, una comunità portuale molto più ampia di cui la città ne fa parte a pieno titolo.
L’Italia dei porti ha bisogno di una politica essenziale che fornisca al settore un quadro giuridico solido e stabile, che riesca a tener conto del ruolo complesso e in evoluzione degli organi di gestione dei porti; un quadro legislativo solido, ma flessibile con cui lavorare; trasparenza finanziaria, concorrenza e consultazione senza ostacolare lo sviluppo del porto verso un futuro che si adatta sempre più mutevole ed imprevedibile. E’ necessario offrire all’industria portuale la stabilità giuridica necessaria per sviluppare i propri porti e migliorare la propria agilità per adattarsi a un mondo in rapido cambiamento.
Decarbonizzare il “porto” significa che, accanto alla decarbonizzazione delle attività e delle operazioni sotto la diretta responsabilità dell’ente di gestione del porto, tutte le parti interessate e tutte le attività dovranno avere i loro programmi, obiettivi e piani di decarbonizzazione. Le Autorità portuali possono facilitare e incoraggiare in una certa misura la decarbonizzazione delle parti interessate, ma la responsabilità principale spetta a ciascuna parte interessata, compresa la città di mare di quel porto. La città per il suo porto dovrà essere complementare e cercare di “sburocratizzare” una programmazione e pianificazione portuale senza intralci e comprendere che un “nuovo” sviluppo, sostenibile, verde, decarbonizzato e digitalizzato senza il porto non potrà essere perseguito: “Se il porto muore, la città non vivrà”.
Oggi, più di ieri, è necessario avere una vision di sviluppo della città che traguardi obiettivi reali; avere la consapevolezza che una dichiarazione di “fine industria pesante” senza una transizione praticabile, crea disoccupazione, generando povertà a migliaia di famiglie. Comprendere che il gas, fonte di energia fossile a più basso impatto emissivo, rappresenta una componente crescente nei prossimi anni: il 60% nel 2025 e dell’85% nel 2050. In questo percorso, una città di mare può essere partner di eccellenza strategica per il suo porto e nel frattempo stabilire piani attuativi per ricercare nuove tecnologie e sistemi innovativi.
Una transizione energetica potrà essere funzionale per una città che vuole raggiungere nuove modalità di sviluppo e nuove opportunità di lavoro, frenando la continua destabilizzazione del proprio territorio. Un porto per far ri-partire la sua città ha bisogno che i vari progetti siano messi in cantiere senza vincoli burocratici; il rilancio immediato delle zone economiche speciali per dare altro impulso agli investimenti imprenditoriali. La città … per il suo porto dovrà solo svegliarsi da un sogno per non sbarcare nell’isola del giorno di prima, o come scriveva Umberto Eco dell’isola che non c’è!