Roma. E siamo al 10° DPCM- aprile 26-2020 – sulle restrizioni sociali e sulla mini-riapertura delle attività produttive. Sui porti e aeroporti molti articoli e commi del nuovo decreto circa i modi della certificazione dei sintomatici e non, sulla misura della febbre dei passeggeri e sulla quarantena da rispettare per viaggiare; poco è stato scritto sui cantieri navali, la nautica da diporto, la navigazione marittima, aerea fluviale e lacuale.
Molti cittadini europei reputano importante il patrimonio portuale oltre che per il territorio, anche per la città –porto, il sistema portuale, la Regione, per il Paese di appartenenza e per l’Ue nel suo insieme. La cultura portuale è un concetto ampio che comprende varie attività. I porti sono infrastrutture fisiche in cui tutti possono entrare in contatto con la cultura, portando in/out patrimonio culturale.
Sembrano concetti fuori dalla portata marittimista; ma “cultura” è manufatto che va dall’otre di vino degli antichi Fenici, Greci e Romani al container di prodotti farmaceutici, di alta moda e di tanti prodotti dal cd valore aggiunto. Occorre (ri) marittimizzare i porti. Questo periodo, firmato del Covid – 19, si sta imponendo per una grande incertezza che sta investendo tutti i settori produttivi di un Paese e in particolare il settore dei trasporti marittimi. Molte società di navigazione e armatori stanno annullando diversi servizi di linea, per evitare di cadere nel baratro del calo dei costi dei noli marittimi e che erodono i margini di guadagno.
Guardando alla Grecia, vicina alle nostre coste italiane, scopriamo che il calo delle entrate dovuto al minore flusso dei passeggeri e l’azzeramento delle prenotazioni sino ai prossimi mesi impongono una iniezione di liquidità immediata, che gli armatori ellenici hanno quantificato in circa 30 milioni di euro al mese. E se questo succede in Grecia, sicuramente influenzerà i porti italiani che hanno forti relazioni frontaliere di ordinary ferry; le misure di sostegno italiane e dell’Ue alla ripresa dovrebbero applicarsi ai collegamenti tra l’Italia e la Grecia in virtù di una continuità territoriale dell’Europa.
Anche se alcuni Paesi europei, con l’alleggerimento del lock down dovuto alla crisi sanitaria, iniziano a vedere una lenta ripresa, il problema del blank sailing in queste prossime settimane raggiungerà il suo massimo valore. In questo scenario, i porti italiani sono rimasti sempre aperti e pienamente operativi; ma questo non basta e il periodo potrebbe essere favorevole per liberarli da una burocrazia che blocca piani operativi (banchine, terminal e dragaggi) e quindi le attività portuali. San Paolo affermava che essere sotto la Legge l’uomo è libero, ma ne rimane vincolato dalla burocrazia: per cui non si può salvare l’asino che cade nel pozzo nel giorno di Sabato.
Per l’Italia portuale la legge Delrio doveva assicurare la liberazione dai lacci amministrativi e burocratici e per questo furono introdotti i “sistemi portuali”. Con il 10° DPCM dello scorso 26 aprile, l’Italia tenta di ripartire: sui trasporti, aria – ferro – strada-mare, la task- force di esperti ha solo partorito protocolli di difficile applicazione. Già se i traffici riprendono, saranno con una riduzione della capacità di trasporto; e nel settore marittimo/portuale vedere navi ferme nei porti è una contraddizione in termini: la nave è funzionale alla navigazione e al trasporto di merci e persone, per cui quando una nave è ferma (inoperosa) i costi aumentano ed invecchia nelle sue strutture e come valore del bene.
Perciò alla Politica si chiede più coraggio nel superare la crisi sanitaria sostenendo i settori produttivi e alle compagnie armatoriali di mantenere la forza lavoro dei propri marittimi, quale valore professionale importante per una ripresa economica e sociale. Proposte serie per combattere la burocrazia fanno parte di una fiducia dello Stato verso i propri cittadini; una liberalizzazione delle risorse importanti per continuare a vivere del lavoro scelto in quanto”diritto”; far partire da subito i collegamenti delle ro-ro e ro pax,con le isole e i Paesi costieri frontalieri per salvaguardare l’economia dell’Italia marittima/portuale e soprattutto di quella meridionale.