L’Europa delle banche e dei banchieri vuole tassare i porti italiani per poi venderli?

. Il 10 gennaio 2020 è stata pubblicata la lettera con cui la , della Von der Leyen, intima all’Italia di adeguarsi al resto dell’Europa sulla tassazione dei porti. Ancora non si conoscono le controdeduzioni che produrrà il nostro – giallo rosso – sulla questione degli aiuti di Stato, relativi all’indagine aperta dalla Dg Competition della Margrethe Vestager sui porti italiani.

Il fatto. Su queste pagine abbiamo già abbondantemente esposto i fatti che è bene sempre ricordare riassumendoli. L’Ue, com’è successo nei settori finanziari, energetici e delle comunicazioni, ora pone la lente sui porti e dichiara ora apertamente – come da sovrano a suddito – che l’Italia deve riscuotere l’imposta sul reddito delle società (Ires) dalle rispettive quindici AdSP (da sempre esentate perche enti pubblici e diretta emanazione dello Stato). Per la danese Margrethe Vestager, l’esenzione è una chiara infrazione dei principi del libero mercato; distorce la concorrenza, procura indebiti vantaggi alle AdSP ed incide sugli scambi intra-Ue e tutto questo porterà ad una procedura d’infrazione per l’Italia.

Il Mit ha sempre affermato che le AdSP sono articolazioni della pubblica amministrazione e pertanto sono tenute a pagare l’Irap (contributo regionale sulle attività produttive); non svolgono attività commerciali ma sono enti pubblici non economici con il compito di regolare e controllare le attività svolte dai soggetti che operano nei porti. Bruxelles insiste che i porti costituiscono attività economica perché affidano autorizzazioni e concessioni dietro pagamento di canone (simile a un fitto o a una locazione, mentre per il C.d.Nav. si tratta di un’imposta e quindi non tassabile). Per questo, l’Ue nella sua lettera afferma che l’esenzione fiscale “sarebbe arbitraria e inaccettabile” e che si tratta di un “aiuto di Stato”. Poi, in tema di concorrenza e di libero mercato, la lettera della Vestager dovrebbe essere spedita soprattutto all’Olanda, al Belgio al e all’Irlanda, dove i grandi player del mercato europeo sono attratti dalla bassissima tassazione operata dai loro porti.

Considerazioni di retroscena. Affermare che i porti del sono in concorrenza con i porti del nord dell’Europa significa porre l’accento sui porti italiani di Genova, La , e Trieste. Infatti, all’Europa dei finanzieri, la portualità interessante è quella riguardante i venti porti più produttivi e tra questi vi sono quelli italiani di cui sopra. I restanti porti italiani e non sono solo “porti sicuri” per … l’emigrazione? Soprattutto quelli del Sud: porti con scarsa offerta di banchine, infrastrutture e servizi ma appetibili per un processo di privatizzazione; processo già avvenuto per la Grecia (Pireo) e quest’anno si cederanno i diritti di dieci porti regionali ellenici.

A parte il porto di che è un capitolo particolare in questo inizio d’anno, il porto di Trieste si trova molto corteggiato da privati e risulta di privilegio per la Cina: in questa visione strategica potrebbe essere il porto europeo della Germania in Adriatico? (vecchio sogno austro-germanico). Con l’uniformare il regime fiscale dei porti, l’Europa tende strategicamente a favorire la concorrenza tra soggetti fornitori di tutti i servizi portuali alle merci e alle navi, non riconoscendo che in Italia i servizi tecnico-nautici sono sistemi diversamente normati dal resto dell’Europa.

Riflessione. Se Bruxelles costringesse l’Italia al cambiamento della natura giuridica in Spa delle AdSP, ci troveremmo di fronte ad un “abuso sovranazionale” da parte dell’Ue, generando non pochi problemi. La lettera Ue inviata all’Italia, in cui si nota che hanno già deciso tutto, si mette in seria discussione l’assetto della /94. Serve un’azione politica efficace poiché non si può accettare continuamente ingerenze da parte dell’Europa per fini politico-finanziari e non per il bene dei popoli.

 

Abele Carruezzo