Riceviamo e pubblichiamo, dall’ing. Roberto Serafino, alcune considerazioni sul porto di Brindisi. L’ing. Serafino è esperto del settore portuale, già docente universitario e membro del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici.
La comunità brindisina riuscirà ad avere il coraggio di porre fine a quello che è uno dei periodi più neri della storia della città e del suo porto?
Vi è una sola via da intraprendere per avviare la rinascita, con uno sviluppo equo, ecosostenibile, con crescita occupazionale, sociale, economica, e spero che quanto segue serva a renderla chiara a tutti.
PREMESSA
Il porto di Brindisi, fino agli anni 70, era costituito solo da porto interno e porto medio; con le varianti approvate nel 1972 e 1975, venne delimitato il porto esterno con la diga di Punta Riso, su proposta redatta dal brindisino ing. Leonardo Potì.
Il piano regolatore attualmente in vigore è stato configurato tramite quelle varianti, in cui erano definiti con chiarezza e precisione i seguenti concetti, rimasti invariati:
1) Il porto sarebbe stato polifunzionale;
2) La funzionalità di ogni area veniva precisamente delineata: porto interno solo traffico passeggeri; porto medio solo traffico commerciale (con l’esclusione categorica del traffico passeggeri); porto esterno solo traffico industriale;
3) L’isola di Sant’Andrea ed il castello alfonsino rimanevano zona bianca (ossia senza alcuna destinazione) in attesa che la Marina Militare chiarisse cosa farne, ed è rimasta tale finora (ossia, anche se vi sono stati spesi decine di milioni di €, tra fondi comunitari, ex lotto, etc., non potrà essere utilizzata fino a che un’apposita variante ne disporrà la destinazione d’uso).
Si può dire che negli anni 90 gli obiettivi delle predette varianti erano stati pienamente raggiunti: nel porto interno si era raggiunto e superato il milione di passeggeri (vi erano giorni in cui facevano scalo oltre 30 navi passeggeri); nel porto medio oltre alle merci sfuse, si stava sviluppando il traffico container (di feederaggio, cioè il traffico più pregiato, tramite il quale i container vengono aperti, lavorati e rispediti); nel porto esterno, oltre alle benzine leggere per il petrolchimico, si sviluppò il traffico del carbone, in particolare con l’avvio della centrale Enel Sud Federico II in località Cerano, in aggiunta alla già esistente centrale Enel Nord.
Purtroppo, da questo traffico nacquero le note dolenti, che si evidenziano esaminando il quadro completo della situazione, perché non solo l’aspetto ambientale, ma soprattutto l’aspetto economico ha condizionato in modo pesantemente negativo la vita del porto e della città.
Mentre l’impianto della centrale Enel Sud costò circa 5.000 miliardi delle vecchie lire, ma in questo caso furono realizzate anche le opere di ambientalizzazione per 6.000 miliardi di £, quindi, con danni ambientali (prodotti dai fumi) limitati, contemporaneamente continuava a funzionare la centrale Enel Nord, su cui non sono mai state realizzate le opere di ambientalizzazione.
Il risultato è stato che, ad esempio nel 2008, la centrale Enel Sud, bruciando 8 milioni di tonnellate di carbone, produceva solo anidride carbonica e vapore, mentre la centrale Enel Nord bruciando 1 milione di tonnellate di carbone immetteva in atmosfera più di 150.000 tonnellate di acido solforico, oltre a decine di migliaia di tonnellate di metalli pesanti (titanio, arsenico, etc.), etc.
L’aspetto più rilevante è che in quegli anni la centrale Enel Sud fatturava in uscita circa 3 miliardi di € (con enormi utili reinvestiti ben lontano dalla Puglia), ossia aveva un potere economico ed una influenza enorme.
Non a caso, nel 1996 l’Avv. Lorenzo Maggi, allora sindaco di Brindisi era riuscito a strappare la firma di una convenzione, ma il suo mandato durò pochissimo e la stessa convenzione non venne mai applicata.
Se fosse invece stata applicata, oggi il Comune di Brindisi probabilmente non si troverebbe prossimo al dissesto economico-finanziario.
In definitiva, tutto ciò che ruotava intorno al carbone (rimorchiatori, ormeggiatori, piloti del porto, trasportatori, agenzie, etc.) venne privilegiato, portando peraltro ingenti risorse nelle casse dell’Autorità Portuale.
In breve, così come precisamente espresso dal Segretario Generale Del Nobile nel lasciare il suo incarico, venne imposto il concetto che l’unico traffico utile era quello del carbone, a cui tutte le altre tipologie di traffico erano solo di intralcio; tale obiettivo venne perseguito snaturando completamente la polifunzionalità del porto e caratterizzandolo come quasi esclusivamente industriale.
Non a caso, sotto la presidenza Giurgola, l’Autorità portuale pagò 900.000 € un progetto esecutivo per costruire una banchina per l’allibo del carbone (una sorta di scalo hub) a ridosso della parte della diga di Punta Riso costruita su terra ferma, larga 100 mt e lunga 1 km, del costo previsto di oltre 65 milioni di €, facendolo passare per messa in sicurezza della diga; solo che in seguito il dirigente tecnico dell’epoca ammise in interviste televisive, che si erano accorti che serviva la variante ma avevano dato comunque l’incarico allo stesso team di progettisti di redigere e far entrare in vigore la variante necessaria in un arco di tempo brevissimo (per chiarire, in base alla procedura prevista dalla L. 84/94, una variante per entrare in vigore impiega non meno di 4 anni da quando viene presentata al Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici, e la redazione di un progetto esecutivo può essere assegnata, tramite apposita gara, solo è quel progetto è precisamente previsto dalla variante già entrata in vigore). Allo stesso scopo e nello stesso tempo, fu fatto in modo che venisse posto termine all’attività di mitilicoltura, che stava prosperando dando lavoro a circa 40 addetti in due cooperative.
Per non parlare del progetto di variante proposto nel 2002, che oltre i nuovi accosti di sant’Apolli-nare, prevedeva anche la costruzione nel porto esterno di un molo dedicato esclusivamente alle carboniere, del costo di circa 40 milioni di €, che Enel si era detta disposta a sopportare: tale progetto fu stralciato poiché nel frattempo la BTI (società dei container) era fallita lasciando disponibile la banchina di Costa Morena est, poi messa esclusivamente a disposizione di Enel.
In definitiva la politica di trasformare il porto da polifunzionale ad esclusivamente industriale (ossia solo carbone) venne sostenuta da tutti i “poteri forti” locali; ma, ovviamente, venne anche fortemente sostenuta dagli altri porti pugliesi che si affacciavano sull’Adriatico, con il risultato, tra i tanti aspetti negativi, che mentre Bari e Taranto sono stati riconosciuti “porti Core” (porti inclusi nella rete transeuropea di trasporto TEN-T con i criteri del Regolamento UE 1315/2013), il porto di Brindisi (porto che, se gestito adeguatamente, sarebbe stato l’unico pugliese in possesso di tutti i requisiti) non venne riconosciuto come tale, con tutti i conseguenti effetti negativi.
È significativa la vicenda relativa al rigasificatore: siccome era evidente che le gasiere avrebbero dato fastidio alle carboniere, fu fatto credere che il rigasificatore fosse altamente inquinante e pericoloso, cosa che tecnicamente è inconcepibile.
E pensare che negli stessi anni a Brindisi è stata consentita la costruzione di una centrale termoelettrica, il cosiddetto zuccherificio, ad una distanza in linea d’aria di circa 500 mt dal centro, che brucia biomasse con produzione di fumi con molta probabilità estremamente inquinanti.
SITUAZIONE ATTUALE
L’evoluzione della situazione è stata provocata dalla direttiva europea che dispone che entro il 2030 sul territorio europeo non potrà essere più prodotta energia elettrica utilizzando come materia prima il carbone. Lo stato italiano ha anticipato tale termine al 2025; di conseguenza la centrale Enel sud a breve termine sarà dismessa (ormai da tempo viene impiegato un solo gruppo) e il quantitativo di carbone necessario per il funzionamento del gruppo dovrebbe essere molto limitato (se non è già disponibile nel deposito), con un ormai prossimo azzeramento del traffico delle carboniere.
È da sottolineare che è del tutto improprio parlare di riconversione della centrale, perché si tratterà di costruire una centrale completamente nuova con turbine a gas (metano), che arriverà in centrale tramite gasdotto, senza sfiorare neppure lontanamente il porto, e l’Enel avrebbe il dovere morale di riportare il luogo dove è stata costruita la centrale Enel sud alle stesse condizioni in cui si trovava prima della costruzione, così come tutto il territorio devastato dalla costruzione del nastro trasportatore.
Per quanto concerne il porto, vanno considerati alcuni aspetti: con l’impostazione data negli ultimi venti anni e rigorosamente mantenuta (porto esclusivamente industriale), evitando anche l’avvio dell’impostazione delle indispensabili modifiche, e con l’evoluzione degli altri traffici (ad esempio nuove navi passeggeri che non possono più entrare nel porto interno, le autostrade del mare, etc.), il porto di fatto è diventato impraticabile.
Ossia, pur disponendo di numerose banchine e ampi spazi, questi non sono utilizzabili; insomma, il porto è destinato a divenire un immenso cimitero.
Contestualmente va considerato che, con la riforma Delrio, il porto di Brindisi è stato accorpato all’ADSP MAM, anche perché, all’epoca, con le notevoli risorse finanziarie derivanti dal carbone, potevano essere risanati tutti i bilanci degli altri porti; ma, con la chiusura del traffico del carbone, il porto diventerà a breve un enorme peso per le casse dell’ADSP MAM.
PROPOSTA
Voltiamo decisamente e definitivamente pagina, tenendo presente che vi è una ed una sola via da percorrere che prevede i seguenti passaggi obbligatori:
A) Scorporo del porto di Brindisi dall’ADSP MAM;
B) Nuova autorità portuale con l’obiettivo primario di avere il nuovo piano regolatore in vigore in tempi ragionevolmente brevi.
Il primo passaggio, se vi è la volontà politica, adeguatamente sostenuta dalla volontà popolare, è estremamente semplice e attuabile in tempi brevissimi, seguendo la stessa procedura seguita per scorporare Messina da Catania.
Il secondo passaggio è nettamente più complesso. Ho già descritto in miei precedenti articoli quali sono i punti principali del nuovo piano regolatore del porto; il punto è che per elaborare adeguatamente in tutti gli aspetti previsti il piano, occorrono tecnici all’altezza della situazione, e sono pochissimi in Italia.
Affidare tale compito a tecnici non competenti vuol dire non avere il nuovo piano regolatore per decenni, senza il quale il porto e, di conseguenza la città, non potranno ripartire.
CONCLUSIONE
Brindisi, pur trovandosi nello stato in cui si trova, ha enormi potenzialità (come ad esempio diventare una delle basi logistiche più importanti in Europa, come l’ONU insegna, con decine di migliaia di nuovi posti di lavoro e alcuni miliardi di € di investimenti provenienti dall’estero).
I brindisini avranno il coraggio di voltare pagina, concretizzando le potenzialità esistenti tramite la via suindicata?
Ing. Roberto Serafino