PRESENTATO AL CNEL IL VI RAPPORTO SULL’ECONOMIA DEL MARE E LO TUDIO SUI CINQUANT’ANNI DI ECONOMIA MARITTIMA IN ITALIA

PRESENTATO AL CNEL IL VI RAPPORTO SULL’ECONOMIA DEL MARE E LO TUDIO SUI CINQUANT’ANNI DI ECONOMIA MARITTIMA IN ITALIA

IL CLUSTER MARITTIMO ITALIANO PRODUCE BENI E SERVIZI PER 34,3 MILIARDI DI EURO (PARI AL 2% DEL PIL NAZIONALE) E DÀ LAVORO A 529MILA ADDETTI 20,5 MILIARDI DI EURO L’ANNO SPESI IN ACQUISTI DI BENI E SERVIZI DAL CLUSTER MARITTIMO
MARIO MATTIOLI “L’ECONOMIA MARITTIMA È COME UN ICEBERG: SI PERCEPISCE SOLO UN OTTAVO DELLA SUA


Roma – Per celebrare i venticinque anni dalla sua istituzione, il 12 dicembre la ha organizzato presso il Cnel la presentazione del VI edizione del Rapporto sull’economia del mare realizzato con il Censis, che aggiorna i dati e ne amplia l’analisi all’Europa (a cura di Cogea) e al (a cura di Srm-Gruppo Banca Intesa), abbinata alla presentazione dello studio “Cinquant’anni di economia marittima in Italia: evoluzione e prospettive tra XX e XXI secolo” realizzato sempre dal Censis con il contributo di Federazione del Mare, dei gruppi d’Amico e Grimaldi e di UcinaConfindustriaNautica.

La manifestazione è stata presieduta da Tiziano Treu, presidente del CNEL, e da Mario Mattioli, presidente della Federazione del Mare. Tiziano Treu, nel ricordare che sin dal 1996 la Federazione del Mare ha scelto la sede del Cnel per presentare il Rapporto sull’Economia del Mare, giunto quest’anno alla sua sesta edizione, ha sottolineato che “il valore prodotto dall’economia del mare e la sua importanza socio-economica con le significative ricadute occupazionali del cluster marittimo, sia dirette che indotte nel resto dei settori della nostra economia, sono fattori indispensabili per lo sviluppo del Paese”.

“Il Rapporto evidenzia il rilievo strategico del settore marittimo e, sulla base di un attento esame dei dati, conferma lo sviluppo e i successi raggiunti, indicando anche le sfide che si devono affrontare sia in Europa che nel Mediterraneo, in una fase storica particolarmente delicata come è quella attuale”. “Da non dimenticare – ha aggiunto il presidente del CNEL – che questo settore è trasversale a molti altri ed in alcuni casi indispensabile”.  Il presidente Treu ha ribadito che, per concretizzare le opportunità, è fondamentale investire in logistica e sui porti, nodi strategici del sistema infrastrutturale italiano, sia a livello locale che nazionale, ed ha ricordato che proprio per questo il CNEL ha presentato 3 disegni di legge sulla logistica, nati da un lungo ciclo di audizioni con le 34 organizzazioni più rappresentative.

“Puntare sul sistema logistico legato all’economia del mare – ha concluso Treu – significa rafforzare l’offerta del nostro Paese sul fronte dell’esportazione oltremare e del turismo crocieristico. Quindi favorire lo sviluppo anche a livello dei territori”. “Quella legata al mare è una realtà che per il suo rilievo e la sua integrazione richiederebbe una più efficace e coerente attenzione sul piano politico e amministrativo – ha affermato Mario Mattioli – questione quanto mai sentita tra i soggetti pubblici e privati che in essa operano da quando le competenze marittime sono state progressivamente disperse tra più dicasteri, compromettendo le possibilità di elaborazione di una politica nazionale del settore e di una sua promozione in ambito europeo”.

Il settore marittimo è infatti fortemente regolato, sia a livello internazionale, sia europeo e nazionale. “Non a caso un deciso processo di ammodernamento normativo ne ha assicurato la competitività e favorito lo sviluppo, con le riforme del sistema portuale nel 1994 e nel 1998 della navigazione mercantile internazionale. Tali riforme hanno liberato risorse e portato ingenti investimenti, con ricadute positive per tutto il cluster marittimo.

Basti dire che l’Italia ha la 5^ flotta di bandiera tra le maggiori economie riunite nel G20 (la 2^ tra quelle occidentali), la 1^ nel mondo di navi RoRo, per lo più impiegate nel cabotaggio marittimo e sulle “”, la 5^ di navi-cisterna speciali per prodotti petroliferi; il sistema portuale italiano è stato a lungo il 1° in Europa per volumi di merce trasportata (oggi è il 3°), e resta il 1° in Europa per movimento di navi da crociera e di croceristi; abbiamo la leadership mondiale nella costruzione di navi da crociera e mega-yacht; la nostra flotta da pesca è la 2^ del Mediterraneo ed è in grande sviluppo l’; è in crescita la formazione marittima, specie per i quadri ufficiali, e l’occupazione; aumentano anche nel settore marittimo gli investimenti nella tutela dell’ambiente.

“L’impatto delle attività legate al mare va ben oltre gli aspetti più strettamente legati alla loro dimensione logistica e tocca direttamente l’intero apparato produttivo nazionale, agricolo e industriale – ha aggiunto il presidente della Federazione del Mare – tanto che al cluster marittimo vengono attribuiti beni e servizi per un valore pari al 2% del PIL complessivo e al 3,5% della sua componente non statale, con acquisti di beni e servizi nel resto dell’economia italiana che sfiora annualmente i due terzi del valore prodotto dalle stesse attività marittime.

“L’auspicio della Federazione – ha concluso Mattioli – è quindi che anche in Italia, accanto al rafforzamento dell’attenzione dedicata al mare, si giunga all’istituzione di un’unità amministrativa specifica con poteri di coordinamento, in modo che una catena di comando  ben integrata porti ad una maggior efficacia nell’adozione e nell’attuazione delle decisioni in campo marittimo (tra queste in primis una semplificazione burocratica) e sia in grado di farlo in tempi conformi agli standard europei e internazionali caratteristici di questo mondo”. Il VI Rapporto sull’economia del mare è stato illustrato da Marco Baldi e Andrea Amico (Censis) per la parte relativa all’Italia, Alessandro Pititto (Cogea) per l’Europa e Alessandro Panaro (SRM) per il Mediterraneo.  In allegato si riporta una sintesi dei tre studi che compongono il VI Rapporto sull’Economia del Mare.

Nella seconda parte della mattinata si è svolta una incentrata sullo studio “Cinquant’anni di economia marittima in Italia: evoluzione e prospettive tra XX e XXI secolo” che rappresenta un significativo affresco storico, mettendo a fuoco il ruolo imprescindibile dell’industria armatoriale italiana nell’equilibrio produttivo del Paese, riscostruendo il valore economico e occupazionale della nostra cantieristica e descrivendo l’evoluzione della portualità nazionale nel sistema trasportistico europeo e negli scenari della globalizzazione, come di quella della e della pesca..

Sono intervenuti alla tavola rotonda, condotta da Giorgio De Rita, segretario generale del Censis: Lucio Caracciolo (Limes), Francesco Dandolo (Università di Napoli), Luigi Giannini (Federpesca), Carlo Lombardi (Federazione del Mare), Roberto Perocchio (Ucina), Giovanni Pettorino (Comandante generale Corpo Capitanerie di Porto – Guardia Costiera), Gianpaolo Polichetti (). “Se si guarda all’Italia della fine degli anni Sessanta e la si confronta con l’attuale – ha concluso Mario Mattioli, presidente della Federazione del Mare – si può tranquillamente affermare che in questi cinquant’anni moltissimo (forse quasi tutto) è cambiato, almeno sul piano politico-sociale ed economico.

Quello che ritroviamo invariato è però certamente il fatto che, oggi come allora, in Italia riveste un ruolo strategico ai fini dello sviluppo la nostra economia marittima, date le ampie dimensioni sue e del suo indotto, il ruolo importante che riveste il mare per la logistica delle persone e delle merci, la pronunciata dipendenza dagli approvvigionamenti marittimi dell’industria manifatturiera, il forte turismo crocieristico e nautico, il ruolo della pesca, la prevalente natura peninsulare del territorio, la rilevanza delle città di mare. Di qui il grande interesse della Federazione del Mare per il progetto del Censis di approfondire il nesso tra le attività marittime nazionali e il nostro sviluppo socio-economico.

Un interesse che si è tradotto in realtà anche grazie alla partecipazione dei gruppi armatoriali d’Amico e Grimaldi e di Ucina – Confindustria Nautica, trovando poi un’ulteriore motivazione con il Venticinquennale della Federazione stessa”. “Diceva Hemingway di basare la sua attività sul principio dell’iceberg di cui solo un ottavo è visibile ma la cui stabilità si fonda sui sette ottavi che non si vedono. Siamo convinti che libri come questo aiutino a dare fondamento nella coscienza di tutti all’idea dell’importanza del mondo marittimo per il nostro Paese e il suo sviluppo”.


VI RAPPORTO DELL’ECONOMIA DEL MARE

Il cluster marittimo italiano si conferma uno dei settori più dinamici dell’economia italiana. In tre anni (2015-2017) è cresciuto in valore del 5,3%, contribuendo al PIL nazionale per 34,3 miliardi di euro. Anche l’occupazione diretta è cresciuta (del 5,7% complessivamente) e il cluster assorbe oggi un’occupazione complessiva (tra addetti diretti ed indotto) pari a circa 529mila unità di lavoro (il 2,2% della forza lavoro del Paese). Il cluster marittimo industriale mantiene un notevole equilibrio tra le sue componenti. In termini di valore della produzione il 41,9% è attribuibile ai trasporti marittimi (12,3 miliardi di euro), il 22,1% alla logistica portuale e servizi ausiliari (6,5 miliardi di euro), il 20,7% alla navalmeccanica (6,1 miliardi di euro), il 9,4% alla cantieristica da diporto (2,8 miliardi di euro), il 5,8% alla pesca (1,7 miliardi di euro).

Il 78,9% del valore generato viene dalle attività produttive in senso proprio (il , la e da diporto, le attività logistiche portuali, la pesca); il 13,6% è generato invece da attività istituzionali (Marina Militare, Guardia costiera, Capitanerie di porto, Autorità portuali). A ciò si aggiunge un ulteriore 7,5% determinato dalle spese sul territorio nazionale di diportisti e croceristi. L’impatto sull’economia italiana delle attività marittime va oltre gli aspetti più strettamente legati alla loro dimensione trasportistica e coinvolge direttamente anche i settori produttivi, manifatturieri e terziari, dell’economia. Il cluster marittimo industriale spende annualmente in acquisti di beni e servizi circa 20,5 miliardi di euro.

A livello più generale, le attività marittime presentano un elevato livello di integrazione con il resto dell’economia nazionale. Lo dimostra il fatto che ogni 100 euro investiti dai soggetti del cluster marittimo generano un effetto moltiplicatore di 226 euro, mentre ogni 100 nuovi posti di lavoro nelle attività marittime ne determinano 173 nell’economia. Per quanto concerne la ripartizione dell’occupazione diretta, il 33,3% è impiegata nei trasporti marittimi, il 22,3% nella logistica portuale e servizi ausiliari, il 19,7% nella pesca, il 15,9% nell’industria navalmeccanica e l’8,8% nella cantieristica da diporto. Negli ultimi 3 anni considerati (2015-2017) il valore della produzione è cresciuto soprattutto nella navalmeccanica (+9,5% ma +46,2% considerando solo la cantieristica navale maggiore) nella cantieristica da diporto (+14,2%) e nella logistica portuale (+5,7%).

Per contro, l’occupazione ha mostrato i trend evolutivi più significativi nel trasporto marittimo (+8,1%) e nella logistica portuale (+6,3%).  Il valore della produzione per unità di lavoro nel cluster marittimo è di circa 206.000 euro/anno, con una produttività di 259.000 euro nei trasporti marittimi, 204.000 nella logistica portuale, 269.000 nell’industria navalmeccanica (che nei cantieri maggiori è quasi 500.000 euro), 220.000 nella nautica da diporto e 61.000 nella pesca. Valori significativamente superiori a quelli delle grandi branche economiche nazionali di riferimento: trasporti e magazzinaggio 165.000 euro per addetto, industria manifatturiera 282.000 euro per addetto e agricoltura 48.000 euro per addetto. Anche il valore aggiunto per unità di lavoro nel cluster marittimo, pari a 72.000 euro/anno, è superiore a quello di settori come le costruzioni, il commercio, il tessile e l’alimentare.


Secondo il Blue Economy Report 2019 della Commissione europea, nel 2017 l’economia blu dell’UE ha registrato 658 miliardi di euro di fatturato e 180 miliardi di euro di valore aggiunto (quindi quasi 480 miliardi di costi intermedi, cioè di acquisti effettuati negli altri settori dell’economia). Inoltre, ha dato lavoro a circa 4 milioni di persone in tutta l’UE e ha generato investimenti per 15 miliardi di euro. Come sottolinea l’European Network of Maritime Clusters (ENMC), l’organizzazione europea dei cluster marittimi, oltre ad avere un’enorme dimensione costiera e numerose città importanti il cui sviluppo è tuttora legato anche al mare, l’Europa è infatti una grande potenza marittima: l’80% del commercio estero dell’Unione europea e il 40% del suo commercio interno utilizzano la navigazione; gli armatori europei controllano quasi il 40% del tonnellaggio mondiale di naviglio mercantile; l’industria cantieristica europea è leader mondiale nella costruzione di navi da crociera e yacht di lusso; l’industria di produzione di apparecchiature e componenti marittime dell’Unione serve metà della flotta mondiale.

Tra i dati forniti dal EU Blue Economy Report 2019 si includono anche il turismo costiero e l’estrazione di idrocarburi, i quali concorrono rispettivamente per il 30% e il 14% al volume d’affari della Blue Economy e per il 54% e il 4% alla sua occupazione, dandone un’immagine parzialmente distorta se si ritiene che l’economia del mare debba includere solo le attività marittime vere e proprie (in Italia, ad esempio, questi settori non vengono analizzati in questo Rapporto). Depurati di tali voci, i dati per la Blue Economy europea sono pari a 383 miliardi di euro come fatturato e 1,7 milioni di persone come occupazione.


Nello scenario mondiale, secondo l’analisi di SRM, il Mediterraneo ricopre un ruolo strategico che, negli ultimi anni, le dinamiche economiche stanno ulteriormente consolidando: esso concentra il 20%% dello shipping globale. La crescente centralità del bacino è evidente anche dal dato dei flussi di navi portacontenitori lungo le maggiori rotte Est-Ovest, che mostra la maggiore crescita dell’Europa-Asia, aumentata ad un tasso medio annuo rispetto al 1995 dell’8,2% raggiungendo quasi 25 milioni di TEU, seguita da quella transpacifica (+5,6%) che comunque resta la più trafficata con 28,2 milioni di TEU e, infine, da quella transatlantica (+4,4%) che conta 8 milioni di TEU.  Anche il traffico di rinfuse liquide ha mostrato una buona performance per i porti europei che si affacciano sul Mediterraneo, la cui movimentazione di prodotti petroliferi greggi e raffinati nel periodo 2004-2018 è aumentata del 4%, a fronte di un 2% a livello globale.

Diverso è invece il discorso per le rinfuse solide: se nel mondo c’è stato un aumento medio annuo del 4,4% tra il 2004 e il 2018, nello stesso periodo nei principali porti del Nord Mediterraneo la movimentazione di queste merci ha registrato una riduzione del 15%. L’Italia è uno dei Paesi più importanti nel sistema del Mediterraneo, con un traffico marittimo che oscilla da tempo intorno al mezzo miliardo di tonnellate e ai 10 milioni di TEU. Nonostante qualche difficoltà nell’attrarre i grandi traffici internazionali, il nostro Paese conferma la sua leadership nello short sea shipping nel Mediterraneo con 230 milioni di tonnellate di merci trasportate, pari al 37,4% del totale, grazie anche alla presenza di grandi armatori italiani leader mondiali nel comparto.

Anche per il traffico rinfusiero il nostro Paese evidenzia una minore incidenza: negli ultimi 10 anni le movimentazioni di merci liquide sono cresciute del 23% (passando da 149,8 milioni di tonnellate del 2009 a 184 del 2018), meno dei suoi competitor europei sul Mediterraneo (Spagna: 30% e Grecia: 34%) ad eccezione di alcuni casi (Marsiglia: -25%). Per le rinfuse solide con una variazione positiva dell’11%, passando da 59,2 milioni di tonnellate del 2009 a 65,6 del 2018, è indietro rispetto a Francia (+77%), Spagna (38%) e Grecia (+13%).

Questo ristagno dipende in parte dal prolungarsi in Italia della situazione di crisi produttiva, ma nel traffico di prodotti semilavorati o finiti in container emerge chiaramente l’esigenza di cambiare approccio: si fa sempre più forte l’esigenza di politiche e un quadro normativo di supporto e flessibile, che consenta ai nostri scali di sviluppare attività logistico-industriali di sostegno a quelle portuali in senso stretto. La cooperazione fra pubblico e privato è fondamentale a questo riguardo. Va in questa direzione la normativa sulle ZES e sulle ZLS, aree collegate ai porti dove hanno luogo attività industriali e manifatturiere accanto a numerose funzioni logistiche a valore, agevolate da sburocratizzazione e da defiscalizzazione parziale o totale per i flussi export o riexport e import.

Esse costituiscono una sfida e un’opportunità per l’economia e la logistica italiana. Case study: un outlook su Turchia e Marocco. In considerazione del ruolo sempre maggiore che stanno ricoprendo all’interno delle dinamiche di sviluppo dei traffici marittimi, è stato realizzato un approfondimento su Turchia e Marocco. Si tratta di paesi che assumono un rilievo sia per la loro posizione geografica, sia per le previsioni di crescita economica, non ultimo per i legami commerciali che essi hanno con l’Italia, ma soprattutto perché caratterizzati da una filiera marittima strutturata e/o dalle forti potenzialità di sviluppo.

 

SINTESI VI Rapporto