Gibilterra. La crisi che lega Gibilterra, Gran Bretagna, Stati Uniti e Iran si acuisce nei rispettivi scenari. Il comandante e secondo ufficiale, di nazionalità indiana, della Grace I, la petroliera iraniana sequestrata la scorsa settimana, sono stati arrestati dalle Autorità di Gibilterra (territorio d’oltremare del Regno Unito).
Per la magistratura di Gibilterra, nel convalidare l’arresto degli ufficiali, la nave iraniana avrebbe violato le sanzioni europee contro Damasco trasportando petrolio verso la Siria. Sull’altro scenario, lo Stretto di Hormuz, i Guardiani della rivoluzione islamica, i Pasdaran, tentano di fermare la nave inglese, la British Heritage, e fatti desistere dalla fregata “Montrose”della Royal Navy che scortava petroliera britannica.
Londra. Per tutelare l’incolumità delle proprie navi commerciali, il Regno Unito ha deciso di inviare un cacciatorpediniere nel Golfo Persico. Il cacciatorpediniere Duncan, addetto di solito alla scorta di unità militari, prenderà il posto della Montrose, una fregata, appartenente a una classe di navi generalmente più piccole e impiegate per la sola protezione di mercantili. Il portavoce di Downing Street inoltre ha affermato: “Non consentiremo che Gibilterra sia utilizzata o che sia complice o inconsapevolmente complice della violazione delle norme dell’UE o di altre sanzioni internazionali”.
Teheran. I due fatti, la petroliera iraniana in violazione dell’embargo e l’attacco dei Pasdaran al tanker inglese, sono negati con forza dal Ministero degli Esteri iraniano; anche perché il tutto è difficile stabilirlo con certezza e lo scontro tra Teheran e Londra (appoggiata dagli Usa) fa parte di una strategia politica. E poi il tutto è confermato solo dagli americani che sostengono che un loro ricognitore avrebbe filmato l’accaduto.
Teheran dichiara di aver “preso misure legali e diplomatiche” contro il blocco della petroliera ritenuto illegale, affidando il caso ad avvocati internazionali. Da sempre, quando si parla di petroliere ci si riferisce quasi sempre alle rotte del Golfo Persico; per cui un attacco o un cenno di attacco ad una petroliera, nello Stretto di Hormuz, diventa per l’Iran un simbolo strategico per dimostrare che sono in grado di non temere le minacce degli Usa e dei suoi alleati. “Gioco pericoloso” dell’Iran che tenta di limitare spazio agli inglesi, in cerca di riconoscimenti per il dopo Brexit e costretti a seguire gli americani di Trump.
In questo modo, la Repubblica islamica sta tentando di dimostrare a se stessa e agli altri di essere una potenza capace di competere con altre potenze, visto che prima era frenata dagli Hezbollah o dai gruppi sciiti. Tutto ha avuto inizio, qualche giorno fa, con l’annuncio dell’Iran dell’aumento dal 3,67% al 4,5% dell’arricchimento dell’uranio per le sue centrali nucleari. Siamo molto lontani dal 90% necessario per assemblare ordigni atomici. Per Israele e Stati uniti questo piccolo aumento indica l’intenzione iraniana di costruire bombe atomiche.
Washington. Gli Stati Uniti due giorni fa, hanno annunciato la volontà di creare entro un paio di settimane una coalizione di Stati (volenterosi) capace di sorvegliare le acque che vanno dallo Stretto di Hormuz, parte del Golfo Persico dove transita un quinto delle esportazioni mondiali di greggio, fino allo Stretto di Bab al Mandeb, vicino alle coste yemenite sulla rotta per il Canale di Suez. Grazie agli alleati, e si sta cercando in queste ore di coinvolgere il Giappone, gli Usa metterebbero in atto un blocco navale delle coste iraniane per attaccare Teheran al primo fallo di questo “gioco pericoloso”. Intanto nelle ultime ventiquattrore non ci sono stati incidenti che hanno visto coinvolte petroliere straniere nello Stretto di Hormuz.
Bruxelles. Le sanzioni dell’Unione Europea hanno lo scopo di impedire all’Europa di acquistare petrolio dalla Siria e non verso altro Paese che vende petrolio alla Siria. Una sanzione troppo controversa e sempre di difficile attuazione messa in risalto dal Regno Unito.