Fin dagli inizi del 2019, piovono importanti Memorandum d’intesa a scala globale. La diplomazia italiana a buon motivo, alza la testa con accrediti internazionali nella nebbia degli scenari globali, tra nuove intese commerciali e persecuzioni di una cristianità indifesa e martoriata; semplicemente testimoniando la vita nel comandamento del Cristo: “Amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi” (Gv 15,12). Da questi principi di veri valori e di rinnovata fraternità universale, potranno avviarsi ora esortazioni per la pace e per la convivenza tra popoli lontani.
Abu Dhabi, 4 febbraio: viaggio apostolico di sua santità Francesco negli Emirati Arabi Uniti, Documento sulla fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune. 23 marzo: il Presidente Sergio Mattarella firma il Memorandum d’intesa Italia-Cina, ma pochi comprendono le reciproche prospettive sociali e culturali. 15 aprile: Emirati Arabi, il Vicepremier Luigi Di Maio firma il Memorandum d’Intesa per la cooperazione nel settore delle Start-Up e PMI innovative.
La Nuova via della Seta, sarebbe ascrivibile a quella storica ed alle ex-repubbliche marinare? Oggi dall’occidente all’estremo oriente si ritorna a parlare in tutte le lingue della nuova via della seta: con modalità caratterizzate da incerte sicurezze delle istituzioni, nonché speranzosi dialoghi e diffuse polemiche tra i popoli. Tuttavia, senza un minimo di cultura storica sulla conoscenza della Via della seta italica (inscritta tra il XIII-XIV secolo), quella nuova apparirebbe del tutto disorientata, compresi i problemi per la sicurezza nazionale.
Se dopo l’ubriacatura di un capitalismo industriale occidentale, basato per oltre due secoli sul dualismo sviluppo/sottosviluppo, l’aspetto inedito contemporaneo sarebbe stato – nella storia di ogni civiltà umana -, il netto sacrificio occidentale (dal ‘700-‘800 in poi) di eliminare per sempre l’istituzione di importanti aree o porti franchi. D’altra parte il primato dello Stato cinese non si è auto-valorizzato nel consolidare proprio tali zone franche che hanno vertiginosamente attratto grandi capitali e investimenti occidentali?
Oggi, l’Italia si riscopre con un forte ritardo storico negli scambi sociali e culturali, a cui però risponde solo con una strategia dello sviluppo basato sulle zone franche (Zef e Zls). Quale allora la strategia migliore per lo sviluppo dell’economia sostenibile? Se ad accomunare il capitalismo di stato cinese ed il capitalismo di mercato occidentale sarebbe la guerra fredda sulla sicurezza delle informazioni (tecnologia di 5° generazione), come uscirne? Pensando solo a nuovi percorsi commerciali della Nuova Via della Seta? Oppure sarebbe prioritario, anche per il mondo cinese, bilanciare il nesso tra stato e libertà civili, religiose e culturali, a ripartire proprio dall’occidente?
Le guerre sono quasi sempre originate da motivi commerciali. E non è detto che sarebbero i paesi più forti a provocare quelli più deboli. O quelle con il Pil più alto a dettare leggi del mercato. Dalla guerra tecnologica (Usa e Cina), l’Italia ne esce a testa alta, specialmente per aver sottoscritto importanti Memorandum d’intesa, da quello cinese a quella con gli Emirati. Quali dunque le identità storico culturali italiane pregresse?
Da questa premessa ripartiamo per un breve excursus storico sul patrimonio culturale delle città e repubbliche marinare. Anche a partire da quella di Barletta. Se la via della seta non ripartisse dalla storia unitaria delle italiche città e repubbliche marinare, si cadrebbe nei soliti errori di generica approssimazione. Se tecnologia di 5° generazione e intelligenza artificiale, sono gli attuali pericoli non solo per le sicurezze nazionali ma anche per la dignità della persona umana, rimane in gioco lo stesso lungo e defaticante processo di civilizzazione che tanto ha caratterizzato le libertà di molti popoli.
Per definizione quella delle ex-repubbliche marinare, è storia delle città-stato. E come ogni organismo vitale, ciascuna Città o repubblica si caratterizza per una propria storia e longevità. E, per così dire, per i propri ruoli, istituzioni di autonomia di governo, personalità e temperamento (senza escludere appellativi: La Serenissima, la Possente, la Superba, la Pacifica, etc.). Accanto alle grandi ex repubbliche di Amalfi, Venezia, Genova e Pisa, si scorgono anche quelle Città minori ma di pari dignità e valenza storica: Ancona, Gaeta, Noli in Liguria e Barletta. Riaggiornare nei tempi d’oggi tali identità significa porre in relazione tali specifiche istituzioni con le rispettive comunità popoli di appartenenza da cui sono scaturite, le istituzioni stesse. Pertanto, l’identità marinara delle città si caratterizza per una spiccata autonomia di governo articolata sia tra istituzioni civili e politiche sia tra quelle ecclesiastiche e religiose.
Nel caso specifico di Barletta, la chiave di metodo di lettura (storica e identitaria) di ogni singola città marinara si disvela nelle seguenti modalità tra loro in relazione: ad intra e ad extra di una data città; poi ad intra e ad extra-regnum; sotto l’egida bizantina, ovvero politico-militare impero romano d’Oriente e quella del sacro romano impero d’occidente; durante la Riforma delle investiture e quindi del papato e le sfide del processo di latinizzazione, che si affranca dalla ossessiva cappa politica dei due grandi imperi.
Nel loro complesso, l’identità marinara delle grandi come delle piccole repubbliche marinare, – con le sue articolate, potenti e complesse autonomie di governo -, non approderebbe ad alcun significato di senso storico, se non considerata in relazione alla Via della Seta ed alle reti portuali euro-mediterranee. D’altra parte, la ricchezza storica, commerciale, militare, civile ed ordinamentale delle città e repubbliche marinare si dispiegherebbe al meglio, ponendola in significative relazioni al loro interno, per dispiegarsi poi nelle relazioni esterne: dal Mediterraneo europeo alla stessa Via della Seta (dal sec. XIII in poi).
Barletta un tempo città marinara, avrebbe avuto propri beni immobili? E l’Unesco potrebbe riconoscerli come patrimonio culturale universale? E sotto quale dicitura, marinaresca o marinara? Quali sono i grandi eventi della storia marinara, sfuggiti agli eruditi locali? Quali le relazioni commerciali negli scenari dall’Adriatico al Mediterraneo? Quali le complesse relazioni di Barletta con i grandi eventi delle repubbliche marinare? Chi sono stati i grandi e numerosi armatori di Barletta, e quelli delle potenze marinare, proprietari di numerose galee? Quali le tipologie di imbarcazioni locali e internazionali? Quali le istituzioni specifiche del governo cittadino ed i loro ininterrotti ruoli storici (dalla Civitas regia al regio Portulano di Puglia).
In questo volume (dal titolo “Storia di Barletta Città marinara dall’XI al XIX secolo”), oltre a rispondere a questi interrogativi, si è cercato di evidenziare alcuni aspetti didascalici, utili al mondo scolastico come a quello turistico-culturale: come l’attenzione all’ordine cronologico degli eventi storici; l’accurata e descrizione degli stessi; lo sforzo di sintesi di ogni paragrafo preannunciato dalle sottolineature in grassetto come a guidare il lettore passo dopo passo; l’aver corredato ogni argomentazione con cartografie storiche a mo’ di sequenze fotografiche che si susseguono dinamicamente.
Per queste ragioni, sarebbe utile creare sinergie con tutte le otto città e repubbliche marinare, (ricadenti nelle rispettive AdSP), istituendo una specifica Associazione culturale che ne promuovessero: a) studi storici e finalità sia di ordine culturali che di interessi prossimi al mondo della blue economy, b) tra scenari valoriali, geopolitici, internazionali e globali (Lega Anseatica, gli Usa, l’Europa e l’Eurasia); c) con biblioteche di comunità per la città ed il turista, a partire da Barletta verso tutte le altre città marinare.
Dott. Nicola Palmitessa
Centro studi: La Cittadella Innova