Portuali e marittimi scioperano il 23 maggio

Roma-Proclamato unitariamente da Filt Cgil, Fit Cisl e Uiltrasporti lo nazionale di 24 ore di tutti i lavoratori dei porti  il prossimo 23 maggio. Al di là delle numerosissime manifestazioni  culturali dei “Port day” organizzate dalle  AdSP dei mari italiani, il settore della portualità – intera catena logistica dei – sta attraversando una fase  di stallo; vuoi soprattutto per la indisponibilità dei datori di lavoro a portare avanti la trattativa per il rinnovo del contratto nazionale.

Contratto collettivo unico nazionale è il solo strumento a tutela e regolazione per salvaguardare il lavoro portuale e le proprie specificità. Lavoro portuale che sta subendo “stress” culturale e professionale e precarietà a fronte di una forte evoluzione che lo shipping sta attraversando: mutamenti continui in atto nei porti italiani con una forte integrazione delle funzioni portuali; sempre più incisive negli assetti delle imprese terminaliste; strategie per abbassare i costi di segmenti di filiera del trasporto a spese dei lavoratori portuali; condizioni di lavoro e ambiente di lavoro che a volte rasentano la sicurezza personale del lavoratore stesso.

Oggi si parla molto di porto, più nei salotti culturali, e poco di banchine, di navi e di lavoro portuale e di marittimi. Un governo “giallo-verde”, più sensibile e impegnato solo sull’immigrazione, con una virtuale chiusura e/o apertura dei porti, continuamente evita qualsiasi confronto su tali temi. Molti presidenti delle AdSP dimenticano il ruolo previsto dalla legge in qualità di garanti nel funzionamento dei porti, in quanto infrastrutture pubbliche importanti del “sistema paese” per lo sviluppo dell’ economia e dell’. Sul versante dei lavoratori del mare, lo stesso governo, ha dimenticato l’estensione del decreto dignità anche ai marittimi, viste le particolarità della loro “non continuità” lavorativa.

L’età pensionabile e l’esclusione dalle categorie dei lavori usuranti, stanno umiliando i marittimi che con l’avanzare dell’età soffrono di non essere in grado di ottemperare alle dovute mansioni, soprattutto in casi di emergenza a bordo. Non si affronta degnamente e definitivamente la questione “amianto”.  Il marittimo è retribuito per i soli periodi di effettiva presenza a bordo, per cui soltanto durante tali periodi devono essere versati i contributi assistenziali e previdenziali.

Il trattamento previdenziale prevede che il lavoratore sia legato alla nave e non alla compagnia armatrice, alimentando il precariato; in caso di vendita o disarmo, il marittimo non ha gli stessi diritti previsti dalle altre tipologie di contratto. Ancora non si riesce a normare il voto ai marittimi italiani imbarcati all’estero o in navigazione, pur essendo a tutti gli effetti cittadini italiani.

Occorre garantire il “Reddito Minimo Europeo” per evitare nuovi schiavi, e che lavoratori sottopagati possano occupare il posto dei nostri comunitari. Ultima questione riguarda il Fondo Nazionale Marittimi che ancora disattende il suo obiettivo principale e cioè quello di essere realmente impiegato.