ROMA– Commentando quanto previsto dalla legge Salva mare approvata oggi in Consiglio dei ministri, Serena Maso, della campagna Mare di Greenpeace Italia, dichiara:
«Dopo numerose belle parole e tante promesse sulla lotta all’inquinamento da plastica, pur correggendo un evidente carenza normativa, il ministro Costa di fatto si limita a trasformare i pescatori in spazzini del mare. È chiaro che per risolvere il problema della plastica in mare non si può fare affidamento solo sulle attività dei pescatori».
Secondo Greenpeace è preoccupante e rischioso pensare di certificare come sostenibile un’attività di pesca solo perché i pescatori hanno recuperato rifiuti in mare, come previsto dalla legge.
Ad esempio, la pesca a strascico – spesso una delle principali minacce all’integrità dei fondali marini – ha come conseguenza anche la produzione di una quantità copiosa di rifiuti. È certamente un bene che questi non vengano rigettati in mare, ma da qui a definire sostenibile questo tipo di pesca ce ne vuole: sarebbe una beffa nei confronti dei pescatori che veramente pescano in modo responsabile, e anche per i consumatori che rischiano di essere confusi da certificazioni poco chiare e affidabili. In più c’è il concreto rischio che i costi ricadano sulla collettività e non su chi produce i materiali in plastica, i primi responsabili dell’inquinamento marino derivante da questo materiale.
«Avrebbe molto più senso abbinare a questo provvedimento l’introduzione di meccanismi stringenti di Responsabilità Estesa dei Produttori (EPR)», continua Maso. «Si tratta di uno strumento di politica ambientale con il quale la responsabilità del produttore di un bene e i relativi costi di smaltimento sono estesi alla fase del post-consumo del ciclo di vita di un prodotto, come stabilito dalla Direttiva Europea sulla plastica monouso appena approvata. Servono interventi alla radice del problema che riducano drasticamente l’immissione al consumo di plastica, principalmente usa-e-getta», conclude.