Le considerazioni di sostenibilità della mobilità delle merci e delle persone, oggi, è un dato di fatto, soprattutto alla luce dei programmi della UE sui trasporti marittimi e le azioni intraprese in materia di autostrade del mare, corridoi, trasporti stradali.
Ma l’intensificazione del traffico marittimo con finalità economiche, sociali e turistiche sta provocando problemi alla qualità dell’ambiente marino, soprattutto per l’assenza di una politica internazionale condivisa.
La preoccupazione forte è nei riguardi del Mare Mediterraneo; mare sempre più affollato di navi che lo navigano e per questo è necessario un accordo fra tutti i Paesi costieri, al fine di uniformare i controlli nei porti, senza ritardare le operazioni-nave.
Cioè, un accordo per evitare che i controlli alla nave quando arriva in porto siano più incisivi, in certi località, e generalisti in altre realtà portuali; che la normativa sulla eco-gestione dei porti sia più chiara ed uniforme, per evitare interpretazioni diverse a livello nazionale e/o locale che metterebbero in crisi la qualità ambientale e si verrebbero a creare più “barriere” allo sviluppo economico di un territorio marittimo, rispetto ad un altro.
Occorre una più incisiva cooperazione territoriale per ottenere una buona qualità ambientale dei porti e dei corridoi transnazionali; questo per favorire una competitività eco-sostenibile sul traffico marittimo.
Si sta andando verso una “certificazione ambientale” per l’intera rete portuale dei Paesi costieri mediterranei (non per singole strutture frammentarie): regole standard e soprattutto condivise, una comune politica di protezione dell’ambiente marino, la consapevolezza delle autorità portuali tale da prevenire impatti ambientali irreversibili.
Sicuramente, e senza dubbio, i porti rappresentano una risorsa operativa per le imprese di trasporto a garanzia di uno sviluppo più stabile; per questo si devono attrezzare di strumenti tecnologici e di servizi adeguati alle vocazioni ed esigenze di tali imprese.
A differenza del passato, oggi, si è consapevoli che le azioni di sviluppo di un porto e della sua retroportualità vanno declinate in un quadro di reale tutela dell’ambiente. Tutti i porti, e non solo quelli italiani, sono storicamente combattuti fra molti problemi: emissioni (polveri sottili), tutela delle acque nella zona portuale, dragaggio, movimenti dei fondali marini, uso e/o stoccaggio dei fanghi, fognature, scarichi civili e industriali, sversamenti di petrolio e/o acqua di sentina, rumori e vibrazioni, consumo energetico, smaltimento dei rifiuti, movimentazione di merci pericolose, impatti per la realizzazione di opere infrastrutturali.
Tanti problemi; però si inizia a parlare di “porti verdi”. Dopo l’esperienza di alcuni porti del Nord Europa e degli Stati Uniti, nell’aver applicato il cosiddetto “asse freddo – cold ironing”, cioè fornire energia alla nave, attraccata alla banchina, tramite connessione con il sistema elettrico di terra, anche in Italia si programma di colorare di verde alcuni porti principali.
Studi effettuati sull’eco sistema di alcuni porti, confermano che il sistema “asse freddo” riesce ad abbattere del 30% le emissioni di CO2 e fino al 95% le emissioni di ossidi di azoto, riducendo anche rumori e vibrazioni. Sostanzialmente, si tratta di una nuova “vision” portuale; non solo il semplice collegamento alla rete elettrica locale, ma un insieme di prodotti tecnologicamente innovativi e soluzioni eco-sostenibili e integrate in modo da realizzare un porto con un “basso impatto ambientale”.
Si pensi ad impianti eolici o solari per la produzione di energia; ad un sistema di illuminazione per l’intera area portuale ed anche per edifici ed house-service; ad isole ecologiche per la raccolta di olii esausti e batterie. Una scelta nella direzione del “porto verde” che l’Italia sta scegliendo con fatica.