CASO GENOVA
L’inchiesta sul porto di Genova, che leggiamo su tutti i giornali in questi giorni, ha dei contorni difficili da commentare ed è evidente che, in questo momento, bisogna aspettare che la magistratura faccia il suo percorso.
Noi vorremmo invece esaminare le possibili cause, convinti che i comportamenti umani derivino spesso da meccanismi produttivi che li facilitano.
I problemi non risolti del porto di Genova sono un esempio emblematico di questi meccanismi perversi: i terminalisti che gestiscono l’attività del porto dispongono globalmente di meno di 200 ettari, mentre, anche senza fare riferimento ai 10.000 ettari dei porti concorrenti del Nord Europa, un fabbisogno corretto sarebbe almeno di 4 o 5 volte superiore, cioè 800 – 1.000 ettari. Di conseguenza i soggetti interessati ad operare in porto possono essere soddisfatti solo per un 20% delle loro necessità.
Parlando di una vicenda che conosciamo bene, la nostra azienda, Grendi fondata nel 1828, la più vecchia azienda logistica genovese, la prima a costruire in Italia una nave porta container, opera oggi a Marina di Carrara perché a Genova non le è stato concesso lo spazio necessario.
L’Autorità portuale, assegnando le concessioni, dovrebbe ispirarsi a criteri terzi per effettuare scelte su basi oggettive ma purtroppo i fatti ci dimostrano che non dispone degli strumenti di conoscenza e normativi necessari ed adeguati ad effettuare scelte che vadano nell’interesse generale del porto, considerato come elemento di sviluppo logistico ed economico del paese: si tratta di valutazioni molto difficili che prevedono anche la conoscenza di trend futuri e implicano, da parte degli imprenditori che partecipano alle gare di assegnazione delle banchine in concessione ferrei impegni, su investimenti, occupazione e traffico, ma che saranno realizzati in un futuro lontano dove gli scenari, che continuano a cambiare, possono giustificare i mancati adempimenti.
La Grendi, in un ATI altri operatori, nel 2011, ha perso una gara per la concessione del terminal Multipurpose perché l’ATI concorrente si era impegnata ad effettuare significativi investimenti in tombamenti e rete ferroviaria mai realizzati. È chiaro che oggi, quasi 15 anni dopo, è impossibile pretendere il riesame dell’assegnazione.
La carenza di spazio portuale impedisce quindi l’ingresso di nuovi soggetti e crea monopolio naturale, rendita di posizione e profitti imprenditoriali decuplicati; l’Autorità portuale di conseguenza, senza disporre degli strumenti necessari, effettua scelte da cui derivano sopravvivenza e profitti imprenditoriali ma, ancora più importante, influisce sulla competitività delle aziende produttive del Nord Italia.
Per risolvere questi problemi non bastano però altisonanti proclami, né serve la caccia alle streghe, ma, è necessario un vero salto di paradigma che metta i porti e la logistica come fattori di interesse generale come stanno facendo e hanno fatto gli altri paesi industrializzati a tutte le latitudini, identificando nuove soluzioni idonee a stimolare, anche all’interno del porto, un’efficienza produttiva legata al mercato e alle sue necessità.
Ne parleremo a Genova, venerdì 17 ore 11.00 nel Convegno organizzato da Dipartimento di Economia dell’Università di Genova, dal titolo: Possibilità di sviluppo sostenibile del porto di Genova, aula Boccanegra (4° Piano) via Vivaldi 5, GENOVA.