Roma. La sentenza del Tar della Liguria sul lavoro in porto lo aveva affermato, stabilendo che l’istituto dell’autoproduzione delle operazioni portuali non è in contrasto, ma compatibile con il Diritto Unionale, tra cui il diritto alla concorrenza.
Sul tema vi era stata la segnalazione dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ai presidenti delle Camere e alla presidente del Consiglio. In quella segnalazione, luglio 2023, l’Antitrust, insiste contro la limitazione all’autoproduzione, favorendo lo scambio di manodopera all’interno di uno scalo tra terminal di uno stesso concessionario. Secondo l’Antitrust, si dovrebbe poter scambiare personale a Genova fra i vari terminal, ma anche a Napoli e Livorno o in altri scali, suggerendo di modificare la normativa vigente al fine di sostenere la competitività dei porti italiani, anche rispetto ‘ai porti limitrofi di altri Stati membri in cui è possibile fare ricorso all’autoproduzione con maggiore libertà, fornendo altresì ulteriori stimoli all’efficienza dei gestori dei servizi portuali’.
L’Antitrust propone di sostituire il comma 4-bis dell’art. 16 della legge n. 84 del 1994 con il seguente: “4-bis La nave è autorizzata a svolgere le operazioni in regime di autoproduzione a condizione che: a) sia dotata di mezzi meccanici adeguati; b) sia dotata di personale idoneo;
c) sia stato pagato il corrispettivo e sia stata prestata idonea cauzione”.
Il primo comma dell’articolo 16 definisce quelle che sono, da un lato, le operazioni portuali, ossia “il carico, lo scarico, il trasbordo, il deposito, il movimento in genere delle merci e di ogni altro materiale, svolti nell’ambito portuale” e, dall’altro, i servizi portuali, ossia tutti quei servizi relativi a “prestazioni specialistiche, complementari e accessorie al ciclo delle operazioni portuali”. Il terzo comma dello stesso articolo prevede che l’esercizio di operazioni e servizi portuali possa essere espletato per conto proprio o per conto di terzi, e che sia soggetto all’autorizzazione dell’Autorità di Sistema Portuale previa verifica di una serie di requisiti professionali.
Giorni addietro, l’Antitrust è ritornata sulla questione ed ha ri-segnalato al Parlamento, alla presidenza del Consiglio e al Mit sottolineando “talune criticità concorrenziali derivanti dalle modifiche apportate all’articolo 16 della legge 84” – si legge nella segnalazione dell’Antitrust – in particolare il riferimento è all’articolo 199 bis – comma 4-bis del decreto legge 19 maggio 2020, l’articolo rivisto in seguito all’emendamento Gariglio per la regolazione dell’autoproduzione nei porti, limitandone il ricorso da parte degli armatori, solo nei casi di indisponibilità degli articoli 16 o 17.
Pertanto, secondo l’Autorità Garante “La necessità di avere a bordo personale unicamente dedicato allo svolgimento delle operazioni e dei servizi portuali, senza peraltro la certezza di poterlo utilizzare, comporta inevitabilmente costi aggiuntivi per il vettore, suscettibili di rendere, all’evidenza, antieconomica la scelta di ricorrere all’autoproduzione delle attività in parola”. Nel testo in conclusione: “l’Autorità confida che il legislatore, nel tenere in considerazione le osservazioni sopra espresse, voglia rivedere, se non abrogare, la norma in questione, onde evitare l‘esclusione di dinamiche competitive e di mercato nell’esercizio delle attività portuali, che appare suscettibile di penalizzare, anziché di lanciare il comparto portuale in Italia.”
Su tale tema, si sta consumando la spaccatura del mondo marittimo tra armatori e Associazione Nazionale Compagnie e Imprese Portuali (Ancip), insieme ai sindacati dei lavoratori.
“La media anagrafica dei lavoratori portuali si eleva di anno in anno in un mercato del lavoro e di scelte organizzative aziendali che invece traguardano la transizione della digitalizzazione dei processi operativi con una certa lentezza!” affermano Ancip, Assiterminal, Assologistica, Assoporti e Fise-Uniport, nell’anticipare che sulla legge di bilancio proporranno una norma per riconoscere ai lavoratori portuali il lavoro usurante.
“Ciò è dovuto a una stagnazione nell’operatività dei porti, conseguenza naturale della situazione economica e dell’andamento dei consumi” prosegue la nota: “Passata l’euforia del 2022 (post pandemica) i traffici di import export (l’80% dei quali transitano per i nostri porti) sono tornati a livelli pre 2019 e pertanto la marginalità per le imprese è contenuta: a questo si aggiungono gli aumenti dei costi – canoni concessori demaniali, costi energetici, rincaro delle attrezzature – e l’incertezza negli scenari dei prossimi anni, con conseguenti rallentamenti nella capacità di investimento”.
Le quattro associazioni datoriali della portualità entrano poi nel merito: “Più del 50% dei lavoratori portuali ha più di 50 anni ed è evidente che questo fattore incida sia sul ricambio generazionale (senza crescita il ricambio rallenta), sia sulla capacità di riqualificazione dei profili professionali (passare da modalità manuali a processi digitalizzati non è facile) sia sulla capacità del personale di essere appealing sul mercato del lavoro: inoltre buona parte delle attività tipiche e storiche del lavoro portuale porta il lavoratore, nel tempo, a dover essere reimpiegato in altre mansioni – difficilmente individuabili – a causa delle problematiche indotte dal perdurare di lavori notturni, lavori in quota, lavori fisici”.
La regolamentazione del lavoro portuale, “artt. 16 -18-17, in tutte le AdSP bisogna saper stare tutti sul mercato, è importante, controllare i bilanci ed evitare che i terminalisti debbano pagare costi che non sono propri, infine evitare le sovrapposizioni”. Un rapporto regolato tra imprese autorizzate ex art 16, terminalisti ex art.18 e fornitori di lavoro portuale ex art. 17 L. n.84//94, che nel corso degli anni si è consolidato, andando a creare un modello altamente performante ma soprattutto flessibile.
La deregolamentazione del lavoro portuale – afferma la Federazione dei Trasporti della Cgil – va a discapito anche della sicurezza sul lavoro. “Occorre agire coerentemente – dichiara la Filt Cgil – per garantire ai lavoratori e al sistema portuale nazionale la dovuta dignità di diritti e tutele già definite e affermate nel resto d’Europa e nel mondo con il sostegno delle nostre Federazioni europea Etf e internazionale Itf”. “Non esiste un’alternativa valida a quanto chiediamo – spiega infine la Filt Cgil – è una soluzione necessaria ad evitare la ripresa di una stagione conflittuale che, riteniamo, il Paese non meriti e non sia in grado di sopportare”.