I Marò italiani alle prese della Corte dell’Aja

L’Aja. Ancora una volta la domanda importante – l’ultima – : chi dovrà processare i marò tra Italia e India. Alla Corte arbitrale internazionale dell’Aja in questi giorni sono iniziate le udienze per decidere sul caso di Massimiliano e , i due marò accusati di aver ucciso, il 15 febbraio del 2012, due pescatori indiani.

Quest’ultima udienza durerà due settimane, ma per aver una sentenza ci vorranno almeno sei mesi. Il procedimento è stato aperto dai rappresentanti governativi dei due Paesi, l’ambasciatore Francesco Azzarello per l’Italia e il sottosegretario agli Esteri Balasubramanian per l’India; questi gli unici interventi aperti al pubblico e il seguito delle udienze avverranno a porte chiuse.

L’ambasciatore Francesco Azzarello, per la parte italiana, ha perorato le ragioni dei due fucilieri di Marina rivendicando per l’Italia la giurisdizione del caso e chiarendo che erano “funzionari dello Stato italiano”, impegnati nell’esercizio delle loro funzioni “a bordo di una nave battente ” e “in acque internazionali” e pertanto “immuni dalla giustizia straniera”. Invece “agli occhi dell’India non c’è presunzione di innocenza: i Marò erano colpevoli di omicidio ancora prima che le accuse fossero formulate”; inoltre in India “ci sono stati ingiustificabili rinvii del processo. Sono state inventate speciali procedure, in violazione con la stessa Costituzione indiana”.

Per il rappresentante di Delhi invece “bisogna tenere a mente che l’India e due suoi pescatori sono le vittime di questo caso; due esseri umani a bordo di una barca indiana sono stati uccisi da individui che erano su una nave commerciale. L’Italia ha infranto la sovranità indiana nella sua zona economica esclusiva” con i due marò che hanno “sparato con armi automatiche contro un peschereccio indiano, il St. Antony, che aveva pieno diritto a operare in quell’area senza il timore di essere fermato, essere oggetto di spari e avere due dei suoi membri di equipaggio uccisi”. Pertanto il caso “è materia di tribunali nazionali e non dell’arbitrato internazionale”.

Queste le due posizioni.
I fatti. I due marò sono impegnati in una missione di protezione della nave mercantile, la Enrica Lexie, battente bandiera italiana che navigava in acque dichiarate internazionalmente a rischio di . Dopo l’uccisione dei due pescatori indiani – non è chiaro da quale nave siano partiti i colpi di fucile perché in zona vi erano altre navi – qualche giorno dopo arriva il fermo per i due militari italiani.

Il Tribunale di dispone il loro trasferimento nel carcere ordinario di Trivandrum e ne escono solo il 30 maggio, quando l’Alta Corte del concede ai due fucilieri la libertà su cauzione (dieci milioni di rupie –143 mila euro-), con l’obbligo di firma quotidiano e ritiro di passaporto. A dicembre 2012 ricevono un permesso di due settimane per trascorrere le festività natalizie in Italia; rientrano in India il 3 gennaio 2013 e ancora un permesso di quattro settimane per lezioni politiche. L’allora italiano, Giulio Terzi, annuncia in Parlamento le proprie dimissioni irrevocabili in polemica con la decisione del Governo Monti di rimandare i marò in India.

Il 16 dicembre del 2014, la Corte Suprema indiana rigetta le istanze dei militari italiani sul possibile rientro di in Italia e a giugno del 2015 l’Italia attiva la procedura di arbitrato internazionale di fronte all’impossibilità di trovare una degna soluzione negoziale del caso. Il due maggio 2016, il Tribunale Arbitrale dispone che anche Girone faccia rientro in Italia fino alla conclusione del procedimento arbitrale. Ora si attende chi dovrà avere la giurisdizione per il processo ai due fucilieri.

Attualmente, in attesa della decisione del Tribunale Arbitrale dell’Aja, Massimiliano Latorre e Salvatore Girone sono in Italia. Latorre presta servizio a Roma, Girone alla . Per entrambi rimane l’obbligo di firma e il divieto a lasciare l’Italia. Di recente Latorre ha sposato la compagna Paola Moschetti: le nozze con rito religioso sono state celebrate nella Chiesa dell’Ordinariato Militare di Roma. Per le disposizioni del Tribunale dell’Aja, il collega Girone non ha potuto partecipare al matrimonio.