Tema, quello dei porti, rovente come non mai in questi primi mesi del 2018 a causa, si eufemizza, della intensa raffica di procedure di infrazioni azionate dalla Unione Europea in riferimento, si ritiene, al fatto che i porti italiani non avrebbero pagato le tasse. Circostanza questa, ove fosse dichiaratamente legittima per il diritto interno Italiano, da effetti a prova di “infarto” non solo per i loro presidenti. E si, ma andiamo per ordine. Il porto è divenuto, negli ultimi cinquanta anni circa, l’anello di congiunzione dinamico, tra la catena della logistica e quella dei servizi ad essa collegati ovvero, ancora la congiunzione infrastrtturale tra il trasporto marittimo ed il trasporto terrestre della merce.
La legge n.84/94, sbalzo normativo in avanti importante dal punto di vista della produzione normativa ordinaria, enuclea le attribuzioni delle AP, oggi Adsp, quali indirizzo, programmazione, coordinamento, promozione e controllo delle operazioni portuali e delle altre attività commerciali ed industriali esercitate nei porti, che ricordiamo altresì, posseggono personalità giuridica e appartengono alla categoria degli enti pubblici non economici forniti di potestà pubblica. Parola d’ordine, quindi, è massimizzare l’efficienza e l’efficacia verso il mare ed i suoi usi nel rilascio di autorizzazioni e concessioni demaniali per l’esercizio delle operazioni e dei servizi portuali.
Fatta tale premessa ed avviatasi una lenta ed articolata riforma del sistema portuale italiano a prevalente obiettivo organizzatorio ed organizzativo, ben presto la stessa ha dovuto fare i conti con le incursioni normative della Unione Europea, non ultima sul tema come accennato, della mancanza di conferimento dei proventi da tasse da parte dei porti italiani (Olanda, Belgio e Francia si sono adeguati di recente e progressivamente), circostanza che vedrebbe omettere l’imposta, specie sul valore dei provvedimenti chiave della vita del porto in Italia quali concessioni ed autorizzazioni, a voler esemplificare molto.
E qui affrontiamo, in sintesi, la virtù pluiridisciplinare delle zone franche doganali, con riferimento a quella insistente nel porto di Trieste che ne sta decretando un successo che lo vede al tredicesimo posto dei porti d’Europa, insidiando la posizione di Valencia e Marsiglia nella top ten. Collegamento col Bosforo e via della Seta sono le strategie di collegamento premianti; attuazione dei principi di libertà di transito e di accesso e quello della extraterritorialità doganale, che vuol dire grossi vantaggi e prerogative esclusive per i potenziali investitori. A costoro, infatti, che sono rivolti i vantaggi operativi, amministrativi, finanziari e commerciali per operazioni portuali di sbarco, importazione, transito, di merce a seconda se nazionale e/o comunitaria, imbarco, lavorazioni, trasformazione anche di merce estera destinata a vari mercati intercontinentali. Depositi Iva e credito doganale.
Non da meno poi, l’abbattimento dell’accisa sui carburanti e sull’energia ed il transito veloce e diretto attraverso i valichi confinati del Nord Est. Insomma un mix fenomenale ed accattivamente che farebbe rabbrividire il più attento studente di economia dei trasporti marittimi e terrestri per gli effetti concatenati e positivi (molto positivi e strutturali sull economia delle regioni interessate), che un’area franca doganale comporta. Le Free Zone piacciono e piacciono talmente tanto ad asiatici e cinesi che i grandi player mondiali sono desiderosi di superare il core corridor Ten-T, avendo maggiore interesse verso le lunghe tratte ferroviarie, come quella di recente inaugurazione tra la Turchia e la Svezia, passando per il porto di Trieste ovvero partenza da Istanbul ed arrivo a Goteborg: una settimana con trasporto terra-mare ed una unica documentazione, strizzando l’occhio al porto di Rotterdam (gesto non da poco).
Passiamo alle ZES, (differenti dalle ZLS zone logistiche speciali, dove non si azionerà il credito d’imposta), normate con la legge 123/2017 il cui regolamento é del Febbraio 2018, nate per sostenere la crescita economica delle aree del sud Italia, attraverso misure fiscali e semplificazioni amministrative e di accesso alle infrastrutture in grado di attirare investimenti esteri od extra regionali, auspicando in un periodo di maturazione, a regime, di medio e lungo termine. Ma chi potrebbe essere interessato ad investire nelle ZES, stante ad esempio, l’elemento peculiare della estensione geografica predefinita? Poi la durata, fattore di non facile prevedibilita’, variabile tra i 7 e non più di 14 anni e prorogabili per altri 7.
Certamente grossi gruppi internazionali propensi agli investimenti in beni e strutture portuali come capannoni per lo stoccaggio e depositi di società automotive, nuove sinergie tra i paesi stranieri ed imprese italiane nell’ambito della blue economy. Auspicabile è che da un lato la perimetrazione delle ZES configuri il meglio di quanto un territorio esprima, sia in termini produttivi che possano fare da volano all’investimento agevolato, che vede sempre la presenza di un porto, sia in termini infrastrtturali e di retroportualità. E si, il porto della ZES la caratterizza per legge. E ritorniamo al punto di partenza. La funzione del porto! La configurazione giuridica dello stesso; il controllo gestionale ad opera della Adsp rispetto all’efficacia degli investimenti ed alle adeguate garanzie, ovvero alle scelte proprie fatte; il ruolo del sistema bancario e del credito. Tutto questo, collegato proprio al sistema trasportistico transeuropeo Ten-t in tandem, oserei allo stato di apparente parziale connubio, con il documento di pianificazione strategica di sistema (DPSS), in coerenza con il piano nazionale strategico della portualità e della logistica (PSNPL).
Rimane il nostro, del tutto ipotetico e di puro esercizio didattico, interrogativo: meglio le zone franche o le ZES? Difficile rispondere, per un semplice motivo, si azzarda; il trascorrere del tempo, che da poli normativi opposti e non convergenti, oggi vede “intersecare” due azioni di spinta e di crescita non omogenei per differenti fattori di macroeconomia, in un arco temporale per certi versi ampio, se consideriamo l’evoluzione tecnologica ed informatica che galoppa ed in cui l’Europa è cresciuta, in tema trasportistico e della logistica, in maniera -spesso- disarticolata e disomogenea, scatenando sui paesi più esposti e naturalmente predisposti ai traffici marittimi come l Italia, lo spettro di ammonimenti della Comunità Europea, locus di modeste dimensioni se rapportato agli auspicati investimenti sulla logistica portuale il cui bacino di utenza e di sicuro moltiplicatore keynesiana.
D’altro canto si osserva, come oramai indispensabile un testo unico della speciale materia del diritto della navigazione compresso tra il diritto internazionale, il diritto dell’Unione Europea ed il diritto interno. Compresso altresì, tra le iniziative politiche e quelle cd di geopolitica portuale, spesso asettiche e prive di reali risultati economici e commerciali . Ed è, infine, quest’ultimo aspetto a sussurrare ad alcuni studiosi e rappresentanti autorevoli del mondo della portualità, quanto possa essere scelta concertativa di poliedriche esigenze amministrative e fiscali, immaginare le Adsp come SPA, sottoposte quindi anche alle norme speciali del codice civile in ossequio proprio alle nuove esigenze avanzate dalla gestione e dal controllo delle stesse su ZES e zone Franco doganali.
Un sogno, forse, chissà, vedremo. Infatti non si può immaginare quanto possa costare una, volendo semplificare moltissimo, svista incolpevole su operazioni economiche finanziarie di questo tipo, che diverrebbero un boomerang ove fallimentari per migliaia di ettari e migliaia di lavoratori. Quindi si ritiene questa, in estrema sintesi, la rotta maestra da seguire, al fine di porre ordine ad un vortice normativo e gestionale (si immagini la concorrenza attuata nelle zes del sud italia, nei procedimenti di rilascio di autorizzazioni e concessioni demaniali semplificate nel controllo e del Ministero e del Comitato di gestione rispetto alle direttive europee) che per sua stessa forza è capace di “autodistruggersi” tutto proprio, chiudendo con una battuta, all’opposto della volontà imprenditoriale dell’autoproduzione dei servizi portuali come oggi regolamentato. Attendiamo, da osservatori, le prossime mosse!
Teodoro Nigro