BRINDISI – Il recente “caso Aquarius” ha riportato agli onori della cronaca nostrana e internazionale la questione riguardante l’individuazione del cosiddetto “luogo sicuro” nell’ipotesi di soccorso e salvataggio di persone in mare; come noto, difatti, gli obblighi nazionali ed internazionali di salvataggio marittimo non si limitano alla “sola” fornitura delle prime cure mediche e/o al soddisfacimento degli altri più immediati bisogni (alimentazione ecc.) dei naufraghi ma si esplicano anche nella conduzione delle stesse persone salvate in un luogo sicuro.
L’allora Convenzione internazionale sulla ricerca ed il salvataggio marittimo del 1979 (Convenzione SAR di Amburgo) non conteneva di per sé una vera e propria definizione di “luogo sicuro” o, se preferite gli anglicismi, di “place of safety”. Tale mancanza, tuttavia, è stata colmata dai lavori del 2004 con cui l’Organizzazione Marittima Internazionale (IMO) ha approvato gli emendamenti – entrati in vigore due anni più tardi – sia all’annesso della Convenzione SAR del 1979 che alla Convenzione per la salvaguardia della vita in mare (Convenzione SOLAS del 1974): in quell’occasione, difatti, l’IMO ha emesso le proprie linee guida sul trattamento delle persone soccorse in mare.
Sulla scorta delle suddette Linee guida IMO può intendersi per “luogo sicuro” quella località “al cui interno possono concludersi le operazioni di salvataggio dei naufraghi e dove la sicurezza e la vita degli stessi non sono più minacciate”. In particolare si tratta di un luogo dove “si possono soddisfare i bisogni primari (alimentazione, cure mediche, rifugio ecc.) dei naufraghi e da dove quest’ultimi possono essere condotti verso la destinazione vicina o finale”.
L’individuazione del “luogo sicuro” – proseguono le suddette linee guida – dipende grandemente dalla presenza di ragioni d’urgenza e, più precisamente, dalla disamina delle circostanze del caso concreto. “Queste circostanze possono riguardare le condizioni (medico/sanitarie e non) dei naufraghi a bordo della nave soccorritrice, l’idoneità della stessa nave soccorritrice a trasportare i naufraghi verso un luogo sicuro così come l’esistenza di eventuali ed ulteriori ragioni ostative a bordo della nave”. L’intento “umanitario” alla base delle suddette linee guida non ammette che si reputi sicuro quel luogo “dove la vita e la libertà degli stessi naufraghi (specie quelli richiedenti asilo politico) possa essere in qualche modo minacciata”.
In questo contesto, pertanto, il comandante della nave soccorritrice assume un ruolo risolutivo in quanto, in base agli elementi di sua conoscenza, ha il potere finale di stabilire la rotta della propria nave verso il “luogo sicuro” di salvataggio dei naufraghi. Ovviamente, nelle more dell’individuazione del luogo di sbarco dei naufraghi, la nave soccorritrice può essere intesa quale “luogo puramente provvisorio di salvataggio”.
Ebbene le Linee guida IMO, unitamente alle convenzioni internazionali in materia, dispongono che la responsabilità primaria per la individuazione e/o fornitura di un “luogo sicuro” ricada sullo Stato costiero responsabile della zona SAR al cui interno si verifica l’operazione di salvataggio marittimo. Nell’ipotesi in cui, tuttavia, “non sia possibile contattare lo Stato costiero responsabile della zona SAR, il comandante della nave soccorritrice può contattare un altro Stato costiero e/o un centro di coordinamento e soccorso che possa fornire assistenza alle operazioni di salvataggio”. Incombe su quest’ultimo, pertanto, l’onere di coordinare le operazioni di soccorso e salvataggio “fino a quando lo stato costiero responsabile della zona SAR non assuma la propria responsabilità”.Quest’ultimo meccanismo, in sostanza, assicura che gli interventi di salvataggio marittimo vengano condotti finanche nell’ipotesi in cui uno Stato costiero non adempia agli obblighi di assistenza all’interno della propria zona SAR.
Sfortunatamente alcune nazioni rivierasche – tra cui il Governo di Malta – non hanno inteso ratificare i suddetti obblighi internazionali nè hanno voluto sottoscrivere, per ragioni prettamente economiche e politiche, accordi con gli stati costieri confinanti finalizzati alla delimitazione delle proprie zone SAR. Ed è per queste motivazioni che alcuni stati costieri – tra cui l’Italia, la Grecia, la Turchia – hanno dovuto compiere negli ultimi anni operazioni di soccorso e salvataggio marittimo nelle zone SAR di altrui competenza, dando seguito, peraltro, a molteplici crisi diplomatiche.
Stefano Carbonara