BRINDISI – Il modello di finanziamento dell’Autorità di regolazione dei trasporti (ART) si incentra su una contribuzione sia pubblica – proveniente dal Fondo per gli interventi strutturali di politica economica – che privata.
Quest’ultima, secondo quanto statuito dalla lettera B) dell’articolo 37, comma 6, del D.L. n. 201/2011, consiste in un vero e proprio “contributo versato dai gestori delle infrastrutture e dei servizi regolati, in misura non superiore all’uno per mille del fatturato derivante dall’esercizio delle attività svolte percepito nell’ultimo esercizio”. L’entità di tale contributo è correlata alle esigenze operative dell’ART e corrisponde al fabbisogno complessivo della medesima Autorità, risultante dai bilanci preventivi e dai rendiconti della gestione soggetti al controllo della Corte dei conti e pubblicati nella Gazzetta Ufficiale.
Sulla base di ciò l’ART ha adottato negli ultimi anni molteplici delibere determinative del contributo di funzionamento a carico delle imprese della logistica e dei trasporti; d’altro canto quest’ultime, ritenendo che il suddetto articolo 37 prevedesse un contributo “insufficientemente determinato nei suoi aspetti essenziali”, hanno più volte impugnato le suddette delibere dinanzi al TAR Piemonte. Il Tribunale amministrativo, ritenendo così di dover approfondire ulteriormente la questione, ha inteso porre questione di legittimità costituzionale del suddetto articolo 37.
Si è quindi registrato l’intervento della Consulta che, avvalendosi di un articolato ed interessante ragionamento, ha ritenuto non fondata la questione di legittimità costituzionale.”Non vi è alcun dubbio – così esordiscono i giudici costituzionali – che il suddetto contributo previsto dall’articolo 37, comma 6, lettera B), del D.L. n. 201/2011 costituisca una prestazione patrimoniale e si conformi all’ articolo 23 della Costituzione secondo cui “Nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge”.
Quest’ultima norma è governata dal principio della riserva di legge cosiddetta relativa secondo cui spetta alla fonte legislativa primaria determinare gli aspetti essenziali di una imposta patrimoniale mentre, per quel che concerne i restanti aspetti accessori, complementari e/o quantitativi, può operare una norma di rango inferiore.Le norme che prevedono prestazioni patrimoniali – come, nel caso di specie, l’articolo 37, comma 6, lettera B), del D.L. n. 201/11 – possono quindi soffrire di una qualche forma di indeterminatezza a patto, però, che quest’ultima non colpisca gli elementi essenziali dell’imposta stessa. Tale indeterminatezza, così sottolineano, tra l’altro, i giudici della Consulta, può essere ritenuta persino necessaria quando ci si trova al cospetto di settori – come quegli affidati ai poteri regolatori delle Autorità amministrative indipendenti (l’ART è una di esse)- caratterizzati da un alto grado di complessità tecnica.
Si tenga presente, a tal proposito, l’iter procedimentale seguito dall’ART per l’adozione delle delibere determinative dei contributi che si snoda sia attraverso una consultazione degli operatori privati che mediante l’approvazione della delibera stessa da parte della Presidenza del Consiglio dei Ministri e del Ministero dell’Economia e delle Finanze (MEF).In sostanza bisogna escludere che l’articolo 37, comma 6, lettera B), del D.L. n. 201/2011, abbia in qualche modo violato l’articolo 23 della Costituzione, avendo difatti provveduto a stabilire il limite massimo dell’aliquota impositiva nonchè ad individuare la platea destinataria del contributo stesso (i cosiddetti “gestori delle infrastrutture e dei servizi regolati dall’ART”).
Così come rilevato dal Consiglio di Stato e dalla Corte Costituzionale, i gestori delle infrastrutture e dei servizi regolati sono soltanto “coloro che svolgono attività nei confronti delle quali l’ART abbia concretamente esercitato le proprie funzioni regolatorie istituzionali”.Proprio su quest’ultimo punto il TAR Piemonte ha recentemente statuito che “affinchè la delibera determinativa dei contributi possa essere applicata a determinate imprese, occorre che l’ART, nel momento in cui adotta la delibera medesima, abbia già provveduto a regolare effettivamente, con atti suoi propri e nell’ambito delle competenze riconosciutegli, l’attività svolta dalle stesse imprese” (v. sentenza n. 513 del 02.05.2018).
L’anteriorità dell’attività regolatoria dell’ART rispetto all’emissione della delibera risponde ad una logica di certezza e prevedibilità degli obblighi da parte di tutte quelle imprese destinatarie del contributo di funzionamento. “Pertanto – così conclude il TAR Piemonte – l’adozione del provvedimento regolatorio dell’ART deve perfezionarsi esclusivamente prima che venga emessa la delibera determinativa del contributo”.
Stefano Carbonara