ROMA – Mancano ancora i crismi dell’ufficialità ma, stando alle recenti indiscrezioni, sembrerebbe che la Commissione Europea stia considerando di avviare una procedura d’infrazione ai danni del Governo Italiano per effetto della mancata tassazione dei canoni – concessori ed autorizzativi – riscossi dalle Autorità di Sistema Portuale (ADSP). Secondo l’esegesi di Bruxelles la natura dell’attività di riscossione dei canoni da parte delle ADSP sarebbe strettamente economica e, pertanto, soggetta ad imposizione fiscale onde evitare fenomeni di alterazione della libera concorrenza.
Nell’attesa di un pronunciamento ufficiale da parte di Bruxelles, sarebbe il caso, almeno per il momento, di soffermarsi sull’orientamento in materia finora manifestato dalla Suprema Corte di Cassazione sulla scorta di alcuni contenziosi sorti, nell’ultima decade, tra le allora Autorità Portuali e l’Agenzia delle Entrate.
Si tratta di un orientamento giurisprudenziale formatosi in seguito al riconoscimento, da parte della Suprema Corte di Cassazione a Sezioni Unite (v. pronuncia n. 17930 del 2013), della natura delle Autorità Portuali quali “Enti pubblici non economici” e che ha visto il suo momento di massimo fulgore nelle pronunce n. 4925 e n. 4926 del 2013: in queste due sentenze, difatti, i giudici di Cassazione hanno riscontrato per la prima volta, pur con qualche riserva, la non assoggettabilità ad imposizione fiscale dei canoni – concessori ed autorizzativi – riscossi dalle Autorità Portuali.
Gli Ermellini sono giunti ad una siffatta conclusione grazie ad un’attenta opera di individuazione delle funzioni e dei compiti attribuiti ex lege alle Autorità Portuali (oggi ADSP). Quest’ultime, ai sensi della Legge n. 84/1994, sono munite dei poteri pubblicistici di coordinamento, indirizzo, programmazione, promozione e controllo delle attività produttive portuali.
Così come rilevato sia dalla Corte dei Conti che dal Consiglio di Stato, le modalità di reperimento dei finanziamenti nonché le attività delle Autorità Portuali – oggi ADSP – evidenziano lo svolgimento, da parte di queste ultime, di funzioni che “solo in minima parte potrebbero ricondursi allo schema della prestazione di servizi a terzi, dietro pagamento di un corrispettivo, e che risultano, invece, preordinate al conseguimento di finalità di interesse pubblicistico”. In sostanza le Autorità Portuali, così come le odierne ADSP, mancherebbero di alcuna finalità lucrativa in quanto non agiscono per la produzione di un utile ma si limitano a conseguire il pareggio tra costi e ricavi.
Certamente una simile qualificazione economica ed organizzativa delle Autorità Portuali – oggi ADSP – non può non incidere sull’assetto fiscale delle stesse; a riprova di ciò, difatti, la Legge Finanziaria del 2007 ha previsto, specificatamente all’articolo 1, comma 993, che “gli atti di concessione demaniale rilasciati dalle Autorità Portuali, in ragione della natura giuridica di Enti pubblici non economici delle Autorità medesime, restano assoggettati alla sola imposta proporzionale di registro e i relativi canoni non costituiscono corrispettivi imponibili ai fini dell’ imposta sul valore aggiunto”.
Secondo l’interpretazione fornita, nei contenziosi degli scorsi anni, da parte dell’Agenzia delle Entrate, la sopraccitata norma non avrebbe detto alcunché circa la tassabilità ai fini IRPEG dei canoni riscossi dagli Enti portuali e, tra l’altro, nessuna disposizione in particolare avrebbe potuto vietare al Legislatore tributario di effettuare il prelievo IRPEG sui redditi prodotti da un Ente pubblico non economico.
Dal canto suo la Suprema Corte di Cassazione ha invece rilevato come, ai fini dell’applicazione IRPEG in capo agli Enti pubblici economici, occorresse discernere l’attività commerciale da quella istituzionale degli stessi enti. In tal senso il DPR n. 917 del 1986 – Testo Unico delle Imposte sui Redditi – prevede, precisamente all’articolo 74, co. II, lett. A) che “…non costituiscono esercizio di attività commerciale…A) l’esercizio di funzioni statali da parte di enti pubblici…”.
Al contrario di quanto sostenuto dall’Agenzia delle Entrate il sopraccitato articolo 1, comma 993, va interpretato nel senso che “esonera (e non esclude) dal pagamento IRPEG gli Enti pubblici non economici solo per quanto attiene alle attività istituzionali mentre, per le ipotesi che non vi rientrano, si applicano le rispettive norme disciplinanti le specifiche imposte”.
All’esito di questo ragionamento, pertanto, gli Ermellini hanno affermato il principio di diritto secondo cui “le attività di natura commerciale o meno degli Enti pubblici non economici non sono assoggettabili a imposizione quando essi agiscono nella loro veste di pubblica autorità in quanto soggetti di diritto pubblico, mentre sono assoggettate a tributo quando l’ente agisce come soggetto di diritto privato”.
Per quel che riguarda la riscossione dei canoni – concessori ed autorizzativi – da parte degli Enti portuali, quest’ultimi agiscono nella loro veste di Pubblica Autorità in quanto svolgono una attività funzionale e correlata all’interesse pubblico di corretto funzionamento delle aree portuali. Gli Enti portuali, difatti, dispongono, in tema di rilascio delle concessioni demaniali, di una discrezionalità vincolata al controllo del MIT (Ministero dei Trasporti e delle Infrastrutture): si pensi, ad esempio, all’approvazione delle deliberazioni di rilascio della concessione demaniale da parte del MIT così come ai poteri sanzionatori e/o di vigilanza attribuiti ex lege agli Enti portuali nei confronti dei concessionari per tutta la durata del rapporto concessorio. Spetterà ora al nuovo esecutivo difendere le sopraccitate ragioni dinanzi al tavolo comunitario e, ancora una volta, sarà decisiva la minuziosa opera di interpretazione del diritto interno e sovranazionale; “à la guerre comme à la guerre”.
Stefano Carbonara