ALICANTE – La flotta della Volvo Ocean Race è transitata in prossimità del celeberrimo Point Nemo, che è il punto dell’oceano più lontano da qualsiasi terra emersa. È anche chiamato polo pacifico dell’inaccessibilità perché è situato nella parte meridionale dell’oceano Pacifico a 1451 miglia (2688 km) dalle terre più vicine, che sono a Nord l’Isola di Ducie, che fa parte delle Isole Pitcairn, a Nord-Est l’isola Motu Nui, nei pressi dell’Isola di Pasqua e a sud l’isola Maker, vicino l’Isola Siple a largo della Terra di Marie Byrd in Antartide.
Il polo oceanico dell’inaccessibilità prende il nome dalla figura letteraria del Capitano Nemo, protagonista dei romanzi di Jules Verne Ventimila leghe sotto i mari e L’isola misteriosa.
Queste sono zone desolate e poco frequentate anche dai ricercatori, e quindi ci sono pochi dati scientifici. Per questa ragione tutte le barche partecipanti alla Volvo Ocean Race rilasciano in mare delle boe oceaniche, una delle attività del Programma scientifico della regata, attivato con il supporto di Volvo Cars.
Le boe hanno una parte galleggiante che contiene delle batterie, uno strumento che misura la temperatura dell’acqua a livello della superficie e altri strumenti in grado di ritrasmettere dati sul moto ondoso, l’intensità del vento e le correnti marine. La boa è costruita in modo tale da seguire i movimenti dell’acqua e non risente dell’effetto del vento. Una volta posta in mare la boa, che ha un peso di circa 20 chili, è attiva per circa 400 giorni e i dati sono trasmessi in tempo quasi reale, via telefono satellitare. Queste informazioni sono utilizzate per migliorare le previsioni meteo, specialmente per quel che concerne la formazione di tempeste.
I dati raccolti dalle drifter boys (questo il nome in inglese) delle barche partecipanti alla Volvo Ocean Race sono resi disponibili in open source attraverso il centro operativo del Global Drifter Programme, presso National Oceanic and Atmospheric Administration (NOAA) statunitense, e l’Atlantic Oceanographic and Meteorological Laboratory di Miami. Le informazioni vengono utilizzate dai ricercatori del NOAA per capire meglio i modelli meteorologici e l’impatto dei cambi climatici sull’ambiente oceanico. In totale saranno 28 le boe rilasciate nel corso di quattro tappe.
Parallelamente al rilascio delle boe oceaniche, il Programma Scientifico della regata, utilizza anche i dati raccolti dai team Turn the Tide on Plastic e AkzoNobel, attraverso strumenti specifici montati a bordo, sull’inquinamento da micro-plastiche. Entrambi i team faranno rilevamenti anche durante la settima tappa da Auckland in Nuova Zelanda a Itajaí, in Brasile. I campioni già raccolti nelle prime frazioni hanno evidenziato livelli preoccupanti di micro-plastiche, soprattutto in prossimità di aree densamente popolate, come Hong Kong (75 particelle per metro cubo) e Melbourne (87). Tuttavia la quantità maggiore rilevata finora è quella dove il Mediterraneo si incontra con l’Oceano Atlantico, con un picco impressionante di 307 particelle per metro cubo d’acqua.
Il dottor Sören Gutekunst, del GEOMAR Institute for Ocean Research Kiel, ha analizzato i dati preliminari. “Stiamo constatando che la concentrazione di micro-plastiche aumenta quando i campioni sono presi vicino a zone molto popolate e in aree dove le correnti tendono a convergere e a concentrare i rifiuti. Poter combinare i dati con le informazioni sulle correnti garantirà una visione più precisa di dove si origina e si concentra l’inquinamento. Indipendentemente da dove si raccolgono i campioni, dalle acque remote dell’Antartico alle zone costiere, si trovano livelli di micro-plastiche che mostrano quanto sia ormai diffuso il problema.”
Le micro-plastiche sono spesso invisibili all’occhio umano e posso impiegare migliaia di anni per degradare, e raccogliendo maggiori informazioni, le barche della Volvo Ocean Race, contribuiscono ad aiutare gli scienziati a capire meglio la serietà del problema e del suo impatto sul mare e la fauna marina. Anche nel luogo più remoto del pianeta.