BRINDISI – Ritorniamo su questa finestra – oblò de IL NAUTILUS – che si apre sulle relazioni tra un porto e un territorio. Un appuntamento che sta riscontrando accoglienza fra i nostri lettori per successive riflessioni. Quando un porto perde importanza economica delle proprie funzioni marittimo-portuali, il sistema produttivo imperniato sul quel porto subisce una caduta delle relazioni tra porto e territorio.
Tecnicamente si dice che si de-marittimizza il sistema economico del territorio, inteso come città e/o regione che ospita quel porto, perdendo il carattere culturale produttivo- marittimo dell’intera economia locale. Per dirla in breve, si perde quella “vocazione marittima” ai traffici del commercio da/per il mare.
E se si perde coscienza marittimo-portuale, sicuramente si va verso un conflitto tra evoluzione tecnologica, gigantismo navale, grandi infrastrutture, logistica spinta e sviluppi dell’economia locale legata al mare, al porto, ai traffici marittimi, con una forte perdita di consenso delle scelte e decisioni politiche rispetto ad una scelta finanziaria – economica.
Anche la sola trasformazione del concetto di “porto” – da momento iniziale e finale di un sistema di trasporto a “anello” intermedio della catena logistica, pur nel rispetto dell’evoluzione tecnologica, non va verso una direzione di marittimizzazione del territorio, anzi fa perdere quel tratto antico di cultura marittima. Una tale trasformazione del concetto di nodo portuale sembra rincorrere due finalità, a volte contrastanti: massimizzare l’utilità di un porto per la c.d. utenza portuale, diretta e indiretta con una preminente funzione imprenditoriale, e ottimizzare l’impatto sul territorio, città e/o regione in termini di reddito, occupazione, ambiente, qualità della vita e relazioni politiche.
Senza considerare l’opinione del cluster logistico – portuale che è convinto che perseguire la gestione di un porto ne aumenta l’efficacia, a tutto beneficio dei loro fruitori; mentre dimentica di pensare minimamente alle peculiarità di una economia locale e come creare sviluppo produttivo/occupazionale e valore economico aggiunto alla città. Bisogna riconoscere quanto impegno sta ponendo l’International Propeller Club Port of Salerno, con il suo presidente Avv. Alfonso Mignone, autore d’importante libro sulla riforma portuale di Federico II, sul come collegare le strategie di un porto e di un territorio. In vari porti italiani, a Brindisi la scorsa settimana, Alfonso Mignone va affermando e divulgando l’importanza di una presenza del pubblico (Federico II), come ruolo istituzionale politico, economico e sociale forti per le finalità di sviluppo del suo regno. Si evince, nella riforma portuale di Federico II, l’importanza di una retroportualità, di una maggiore presenza dei porti meridionali per incidere sui traffici nel Mediterraneo, da e per l’oriente, coadiuvati da zone a vantaggio produttivo/economico – le masserie dislocate in prossimità di porti, le zes ante litteram – per l’esportazione dei prodotti dell’agricoltura e per l’importazione di spezie.
L’invito a riflettere su come un cluster logistico – portuale debba ri-marittimizzare un territorio; implicando di più i porti del Meridione d’Italia da/verso i mercati del Nord Africa; attivando una strategia mirata di vere e proprie autostrade del mare e proponendo un aggiornamento delle reti TEN-T. In questa prospettiva una governance di sistema portuale deve essere intesa come insieme di interazioni tra città e porto nel condividere scelte di governo dell’uso dello spazio portuale, risorsa pubblica per creare reddito e occupazione.