BRINDISI – E’ dell’altra domenica la notizia di una collisione tra una petroliera e un’unità militare americana, in navigazione nello Stretto di Malacca, con dieci militari dispersi. Nel commentare la notizia, molti autorevoli media internazionali hanno sostenuto ancora una volta la chiusura dello stretto alle rotte da/per gli oceani Pacifico/Indiano. Si suggerisce ancora una volta una soluzione drastica, convinti di poter evitare così altri sinistri in futuro.
I sinistri hanno una forte probabilità di verificarsi, con un alto rischio nautico, quando il fattore umano, tecnico e ambientale concorre a errori non recuperabili. Dare solo al fattore ambientale tutte le causalità per la verifica del sinistro è superficiale e insufficiente. Lo Stretto di Malacca, uno degli stretti, più stretti al mondo, con un imbuto di circa 1,5 miglia nautiche nei pressi di Singapore, sicuramente è pericoloso alla navigazione, soprattutto quando si affronta con una certa superficialità e routine.
L’anno scorso, le varie Autorità Marittime, dall’Indonesia, Malesia e Singapore, hanno deciso di adottare misure comuni di sicurezza per ridurre i potenziali incidenti. Solo nel 2015 si sono verificati circa sessanta incidenti più o meno gravi. Tutto questo contrasta con la “geografia” dello stretto che lo rende a tal punto cruciale per il commercio mondiale. Infatti, le più grandi economie del mondo, oggi concentrate nella regione Asia – Pacifico, utilizzano il canale per il commercio con il Medio Oriente, con quasi più di 100.000 navi l’anno che lo attraversano. Lo Stretto di Malacca ha inoltre un’importanza strategica per la Cina.
Questo paese è fortemente dipendente dal Medio Oriente per il suo fabbisogno energetico, (25% circa del petrolio passa per il canale). Ogni blocco dello Stretto si tradurrebbe come default energetico per la Cina e tagliata fuori per le materie prime dall’Africa, dove la stessa Cina ha investito miliardi di dollari in progetti minerari e relative infrastrutture. L’Energy Information Administration (EIA), del Dipartimento dell’Energia USA, ha dichiarato che l’eventuale blocco dello stretto costringerebbe quasi la metà della flotta navale mondiale a navigare lungo il periplo dell’arcipelago indonesiano. Per questo si spiega la presenza continua della Settima Flotta americana in queste acque. Gli Stati Uniti, con la presenza della propria flotta, garantiscono anche sicurezza alle alleate Taiwan (contro un’invasione cinese), la Corea del Sud e Giappone (contro l’aggressione della Corea del Nord).
Ricordiamo che per molti anni lo Stretto di Malacca è stato un hub per la pirateria; fenomeno che ancora continua, anche se il numero degli attacchi si è ridotto. Previsioni economiche sui flussi merceologici evidenziano che lo Stretto rimarrà probabilmente il passaggio nautico preferito tra l’oceano Indiano e Pacifico, con aumenti di traffico navale.
Abele Carruezzo