ROMA – Il tema circa la potestà legislativa regionale in tema di demanio marittimo torna tra i pensieri della Corte Costituzionale la quale, ancora una volta, ha autorevolmente marcato il territorio della competenza legislativa nazionale.
Solo due giorni or sono, infatti, i giudici della Consulta si sono definitivamente pronunciati con la sentenza n.40/2017 in merito al ricorso, promosso dal Presidente del Consiglio dei Ministri, avverso la Legge della Regione Puglia n.17/2015 che disciplina la tutela e l’uso della costa. Nello specifico, a finir sotto la ghigliottina per presunta illegittimità costituzionale sono state, rispettivamente, le disposizioni di cui ai comma 8 e 9 dell’articolo 14.
La prima disposizione dispone che qualora una concessione demaniale non sia conforme ai PCC (rectius: Piani comunali delle coste), i Comuni confermano a favore degli originali concessionari, salvi i casi di revoca e decadenza, la titolarità di almeno il 50% delle aree demaniali già concesse. Una volta verificatasi tale ipotesi, i Comuni sono autorizzati a riconoscere ai suddetti concessionari un ulteriore area demaniale che viene assegnata in concessione attraverso provvedimenti di variazione e/o di traslazione.
La seconda disposizione, inoltre, statuisce indiscriminatamente la salvaguardia delle concessioni in essere fino alla scadenza del termine di proroga, previsto dalle normative vigenti (D.L. n. 194/2009), attualmente fissato al 31 dicembre 2020.L’Avvocatura di Stato, in difesa del Presidente del Consiglio, ha sempre sostenuto come le disposizioni in esame invadessero la competenza esclusiva statale in materia di tutela della concorrenza, dettando una disciplina contraria anche ai principi di derivazione europea e contraddicendo, pertanto, alle disposizioni di cui al primo ed al secondo comma, lettera E), dell’articolo 117 della Costituzione.
D’altro canto, la difesa pugliese ha sempre rilevato come l’articolo 14, comma 8, rispondesse ai principi di cui alla Legge Finanziaria del 2007 (rectius: articolo 1, comma 254) secondo cui “le Regioni, nella redazione dei piani di utilizzazione delle aree del demanio marittimo, devono individuare un corretto equilibrio tra l’estensione delle aree concesse a soggetti privati e quella degli arenili liberamente fruibili”.
Ebbene, i giudici della Consulta hanno propriamente cassato il comma 8 dell’articolo 14 nella parte in cui viene prevista l’assegnazione di nuove aree demaniali in favore dei concessionari attraverso provvedimenti di variazione e/o traslazione. Secondo l’esegesi della Corte Costituzionale, non si può parlare di compensazione se non mediante un indennizzo, così come previsto dall’articolo 21-quinquies della Legge n. 241/1990. La variazione e/o traslazione di un titolo concessorio – prosegue la Consulta – “riconosce un diritto su aree diverse da quelle originariamente assentite.
Si è dunque in presenza del rilascio di nuove concessioni per le quali la legge dispone giocoforza il ricorso a procedure di evidenza pubblica”. Di tali procedure – in tal senso è ravvisabile l’illegittimità costituzionale – non vi è alcuna menzione nell’articolo 14 comma 8.
E di illegittimità costituzionale si deve parlar necessariamente anche per il comma 9 dell’articolo 14 in quanto la Regione Puglia ha previsto la salvaguardia di concessioni che non potrebbero beneficiare del termine di proroga previsto dalle disposizioni vigenti. Difatti, il termine di cui al 31 dicembre 2020, nelle intenzioni del Legislatore, “si applica soltanto per quelle concessioni già in essere alla data di entrata in vigore del D.L. n. 194/2009”.
Stefano Carbonara