LONDRA – L’Associazione dei Porti Inglesi (BPA) chiede al Governo e in particolare ai Ministri dei Trasporti e dell’Ambiente di iniziare a pensare a una strategia operativa per sostenere l’occupazione e il commercio post-Brexit. La BPA sta pensando di introdurre una “port zoning” dentro e intorno alle aree portuali del Regno Unito; un concetto questo che vedrebbe sia le marine e l’intera zona retroportuale classificate come aree speciali per la crescita economica del territorio interessato di quei porti.
Tali zone, pur ricordando le nostre “zone franche” di non recente memoria, farebbero da “cuscinetto”e strategiche per affrontare le crescenti pianificazioni che il Governo Inglese sta mettendo in atto a seguito dell’uscita dell’Inghilterra dall’Europa, con le conseguenti restrizioni economiche. L’Associazione contesta al Governo che le aree preesistenti, come i porti, sono definite da una legislazione marittimo/economica che non permetterà di intraprendere programmi costosi per ripianificare attività e nuove infrastrutture con nuovi limiti operativi.
Tutto questo per i porti inglesi rappresenterà una sfida significativa per i loro compiti statuari e progetti per il futuro, visto che le trattative di Brexit dureranno circa un decennio. I porti, da sempre, sono realtà vitali di posti di lavoro e con i vari flussi commerciali in entrata/uscita sostengono le comunità costiere. E allora, l’Associazione dei Porti Inglesi afferma in una nota che, se si vuole operare in una nuova dimensione di trading post- Brexit, è importante che il settore portuale tutto rimanga competitivo.
La BPA, con più di 350 porti, rappresenta gli interessi dei vari operatori dei terminal e degli impianti portuali; il 96% del commercio internazionale dell’Inghilterra, importazioni ed esportazioni, passa attraverso i porti del Regno Unito che gestiscono oltre sessanta milioni pax/anno. L’industria portuale/marittima del Regno Unito è la seconda in Europa e gestisce più di 500 milioni di tonnellate merci/anno.