TRANI – E’ ormai opinione comune degli studiosi che, all’indomani della caduta dell’Impero Romano d’Occidente, la regolamentazione dei traffici marittimi medievali abbia attinto ad uno ius commune maritimum, per poi essere contemplata in raccolte in cui consuetudini professionali di retaggio rodio – romano ed in seguito usanze mercantili bizantini ed arabo-ebraiche, diedero vita agli statuti del mare.
In questi primi ordinamenti marittimi si rinvengono disposizioni ed istituti similari ma non si può assolutamente affermare che le rispettive legislazioni siano state soggette ad una mutua influenza. Ciò si spiega principalmente con il perdurare, nel Medioevo, di uno stato di perenne conflitto militare e commerciale per cui non solo una città non accoglieva le disposizioni legislative di un’altra, ma adoperava ogni suo potere per impedire l’estensione delle leggi delle rivali nei paesi stranieri.
Questo stato di cose mutò radicalmente con l’espansione, al di là di conflitti politici e religiosi, del commercio internazionale, che determinò, gradatamente, il cessare di rivalità, inimicizie e lotte per l’egemonia commerciale, e si deve attribuire alla diffusione come lex universalis maritima del Consolato del Mare di Barcellona, una seppur parziale unificazione del diritto marittimo dei popoli rivieraschi che erano dediti a consolidati traffici nel bacino del Mediterraneo.
Fatta questa necessaria premessa e concentrando l’attenzione sulla possibilità di stabilire un raffronto tra Tabula de Amalpha e Ordinamenta Maris Civitatis Trani seguendo le orme dello Schupfer, occorre precisare che, a distanza di circa due secoli dalla loro riscoperta, ancora oggi vi è accesso dibattito tra gli studiosi su quale sia il corpus di consuetudini marittime più antico.
Compito certamente non agevole considerato lo stato in cui i documenti analizzati dagli storici è giunto fino a noi. L’analisi dei contratti di utilizzo della nave ed un uso generalizzato nei traffici marittimi individuano con certezza nel Mar Tirreno l’area di influenza e applicazione della Tabula de Amalpha ed il Mar Adriatico quella degli Ordinamenta Maris, il latino prima ed il volgare poi come lingua utilizzata nella compilazione, ma non vi è analoga sicurezza per quanto concerne la datazione.
Infatti per gli Statuti Marittimi tranesi, da un filone di studi che risale alla seconda metà dell’Ottocento, se da una parte si sostiene che è possibile individuare nell’A.D. 1063, come indicato dall'”incipit” del testo, la data di compilazione, sia in passato che ancora oggi c’è chi propende per il 1363 o altra datazione ma pur sempre posteriore. Allo stesso modo per la Tabula non vi è nessun indizio che porti ad una data precisa di tale compilazione e, pertanto, stabilire a chi deve essere riconosciuto il primato è impresa ardua considerato che il testo amalfitano è considerata dagli studiosi più accreditati una raccolta di regole stratificate e risalenti a periodi differenti, rinveniente le proprie origini nell’XI o XII secolo, probabilmente frutto della commistione di compilatori diversi nel tempo e nello spazio.
Ma su tale stimolante e mai sopita controversia non entro nel merito e mi limiterò a rilevare, possibilmente, le notevoli analogie che emergono da una lettura comparata dei due statuti marittimi.
Dal punto di vista dell’esegesi delle fonti, non si può negare come entrambe, possano aver trovato comuni radici nel diritto marittimo bizantino che vanno ricercate nel Νόμος ʽΡοδίων Ναυτικός, una compilazione, probabilmente ad opera di un privato, che raccoglie la vecchia legislazione di Rodi, pietra miliare sulla disciplina del getto a mare in occasione di avaria, e la giurisprudenza marittima romana che fu raccolta da Giustiniano in un apposito capitolo del Digesto.
Sia ad Amalfi che a Trani troviamo ai vertici dell’amministrazione legislativa e giudiziaria in materia di navigazione i Consoli del Mare, istituzione di creazione bizantina con giurisdizione marittimo – commerciale. Essi giudicavano le controversie inerenti i contratti mercantili, noleggio, cambio e prestito marittimo, gettito di merce, debiti contratti da mercanti, padroni di navi e marinai, armamento, vendita, incanto e costruzione di navi, arruolamento e paghe dei marinai, ripartizioni di quote societarie dei caratisti. Ad essi erano, altresì, presentate le relazioni dello scrivano o cartolaio che costituivano la prova di quanto era accaduto nel viaggio. Ed è proprio dalla giurisprudenza formatasi dalle decisioni dei Consoli che deriva la raccolta di tali consuetudini in entrambe le città e, anzi, dalla lettura dei capitoli tranesi sembra proprio che essi scaturiscano da espressa volontà consolare volta a dare forza di legge agli usi mercantili.
A dire il vero ciò che contraddistingue e stupisce, da un’approfondita lettura dei due testi è che, per la prima volta nella storia della navigazione, la figura del marinaio, fino a quel momento ritenuto un semplice schiavo al servizio del padrone, chiaro retaggio del mondo antico, assurge ad una propria dignità, diventando a tutti gli effetti un lavoratore che necessita di tutela sia previdenziale che contrattuale ed, in particolari casi, partecipa agli utili dell’impresa di navigazione. In ambedue gli ordinamenti possiamo senza dubbio riscontrare un favor nautae e disposizioni similari sul trattamento economico e disciplinare dell’equipaggio che diventa pilastro imprescindibile della spedizione.
Nella gerarchia di bordo della nave l’equipaggio era formato, in ordine di importanza, dal capitano (indicato con il termine patronus sia ad Amalfi che a Trani) dal marinaio semplice, dal nocchiero o comitus (che compare in entrambe) e dallo scrivano. Le funzioni del capitano erano quelle di verifica delle condizioni della nave, direzione delle operazioni di stivaggio e sull’eventuale getto delle merci, computo delle merci salvate e perdute, stipulazione dei contratti di utilizzo della nave. Particolari incombenze ricadevano su alcune figure rilevanti dell’equipaggio: il nocchiero era preposto alla direzione tecnica della navigazione e lo scrivano era il capo dell’area amministrativa ed il notaio della nave con il compito di registrare tutto quello che avveniva nella spedizione sul cartulario (capitolo 25 Tabula; capitolo 16 Ordinamenta Maris).
Il contratto di arruolamento era stipulato davanti ai Consoli e comportava come obbligo per i marinai la subordinazione al padrone della nave e al nocchiero (capitolo 1 Tabula; capitolo 14 Ordinamenta Maris). In conseguenza di ciò i marinai non potevano levare le ancore o toglierle o compiere altre operazioni senza l’ordine ricevuto (capitoli 56, 57 e 58 Tabula; 15 Ordinamenta Maris). Quanto al trattamento economico il salario e l’anticipo corrisposto ai marinai era intangibile e garantito anche in caso di malattia (capitolo 14 Tabula; capitolo 10 Ordinamenta Maris) o in caso di cattura da parte dei pirati o corsari (capitoli 15 e 53 Tabula; capitolo 27 Ordinamenta Maris). Veniva altresì sancita la partecipazione del marinaio agli utili della spedizione (capitolo 12 Tabula; capitolo 12 Ordinamenta Maris). Ambedue gli statuti stabiliscono la nullità dei patti avvenuti in mare e la validità, invece, di quelli stipulati in porto innanzi alla Curia Maris (Amalfi) e ai Consoli, (capitolo 34 Tabula; capitolo 30 Ordinamenta Maris). Statuizioni similari sono ravvisabili anche in merito al patrono ed il suo diritto di riscuotere denaro dalla nave (capitolo 7 Tabula; capitolo 31 Ordinamenta Maris).
Risultano similari e di chiara matrice rodio – romana i provvedimenti per la salvezza della spedizione in occasione di avaria o naufragio ma bisogna notare e sottolineare come questi venissero adottati secondo principi democratici e solidaristici in proporzione tra i partecipanti alla spedizione. Quando occorreva procedere al getto della merce per la salvezza del rimanente carico e della nave, il padrone aveva l’obbligo di consultare i componenti l’equipaggio, dopo di che invitava i mercanti al getto, ed in loro assenza lo scrivano di bordo annotava nel suo registro ciò che era stato gettato in mare, mentre all’arrivo in porto della nave veniva fatta in consolato la relazione di avaria dal padrone stesso assieme allo scrivano ed ai marinai (capitoli 46, 47, 48, 54 e 55 Tabula; capitoli 2, 4 e 26 Ordinamenta Maris).
Queste analogie (o coincidenze?) evidentissime saranno fonti di ispirazione per la redazione del Consolato del Mare e parte integrante del diritto marittimo aragonese e dei suoi domini nel Meridione della Penisola.
Mettendo a confronto i due testi dobbiamo ammettere di trovarci di fronte ad un complesso di regole apprezzabili non solo dal punto di vista puramente stilistico per quel che concerne la lingua adoperata ma anche da quello dell’efficacia giuridica in quanto applicate nei tribunali marittimi del Regno di Napoli e dotate di una indiscutibile validità internazionale in quanto probabilmente esportate con la diffusione di fondachi nei porti ove erano situati gli empori di destinazione dei viaggi mercantili . Esse cadranno in disuso, ma senza scomparire del tutto, nell’applicazione pratica di arbitrati e controversie giudiziarie, a favore del citato Consolato del Mare di Barcellona, solo nel XVII secolo.
In conclusione volendo azzardare improponibili paragoni con il presente se la Tabula sembra trovare più attinenza con il Common Law presentando, per la capacità di rispondere alle esigenze del caso concreto per agli operatori del settore dello shipping nella pratica relativa agli affari, una straordinaria somiglianza con il clausolario contenuto sul retro dei contratti marittimi e generati da usi marittimi consolidatisi nel tempo e non da giureconsulti, la valenza nel tempo e nello spazio degli Ordinamenta Maris è testimoniata dalla menzione nella sentenza resa il 24 marzo 1999 dalla Corte d’Appello degli Stati Uniti per il Quarto Circuito concernente la questione del carico di merci perso in mare in forza del quale chi vi si imbatteva ne diveniva legittimo proprietario nella causa R.M.S. Titanic, Inc. v. Haver.
La Corte ritenne che “the law of salvage and finds” sia “a venerable law of the sea”, sorta dalle pratiche di uomini di mare e “preserved from ancient Rhodes (900 B.C.E.), Rome (Justinian’s, Corpus Juris Civilis) (533 C.E.), City of Trani (Italy) (1063), England (the Law of Oleron) (1189), the Hanse Towns or Hanseatic League (1597), and France (1681), all articulating similar principles”.
Non sappiamo forse con certezza chi sono stati i compilatori di queste monumentali testimonianze di regolamentazione marinara ma si resta stupefatti dall’attualità di questi precetti e dalla loro attitudine nel fornire “risposte” al caso concreto ed essere base con cui giudicare con un approccio “specialistico” le controversie in materia marittima. Forse sarebbe opportuno un tale approccio dagli operatori della giustizia anche oggi considerata l’importanza dei traffici marittimi internazionali e l’esigenza di dotarsi di una magistratura competente e di ottenere una giustizia celere.