SEOUL – Non è ancora tempo di estreme unzioni per il malandato gigante Hanjin, ottava compagnia mondiale nel traffico TEUs sulle cui terga pesano oltre 4,5 miliardi di dollari di debito: così ha sancito la Corte centrale distrettuale di Seoul, ponendo un argine, almeno per il momento, alla via della liquidazione della compagnia sudcoreana.
Ciononostante, si sono verificate repentine reazioni sul mercato marittimo, sia a livello economico che marittimo: Hanjin, del resto, copre rispettivamente l’8 ed il 10% dei traffici TEUs sulle rotte Asia – America e ed Asia – Europa. Secondo il Containerized Freight Index di Shanghai, i costi di trasporto di un container dalla Cina agli Stati Uniti sono cresciuti in un singolo giorno dal 45 al 51%: da 1.100 a 1.700 dollari per un container da 40 piedi dalla Cina alla costa occidentale degli Usa, da 1.700 a 2.400 dollari per lo stesso container sulla rotta Cina-costa orientale Usa.
Il clima di profonda incertezza di queste ore ha costretto non solo i grandi operatori sudcoreani dell’high tech – in cima, Samsung ed Lg – ma anche tutti i partner dell’alleanza Ckyke a sospendere le operazioni commerciali con Hanjin e non è escluso che anche Washington intervenga nella partita. Secondo gli ultimi aggiornamenti, ci sono nel Mondo circa 45 navi di Hanjin bloccate alla fonda o nei porti internazionali, di cui 41 portacontainer, con l’impossibilità di caricare o scaricare merce.
I principali timori, ça va sans dire, riguardano gli effetti collaterali di una potenziale bancarotta della compagnia sudcoreana: delle 98 navi di Hanjin, infatti, ben 61 sono a noleggio ed i tre principali noleggianti – armatori sono esposti per una cifra superiore ad 1 miliardo di euro. D’altro canto, il principale liner mondiale dei TEUS, Maersk Line, ha dichiarato alla stampa che un’eventuale bancarotta di Hanjin avrebbe un “modesto effetto” sul proprio business nonostante i danesi abbiano in corso un contratto di condivisione delle proprie capacità di stiva.
Si preannunciano mesi di fuoco per la nuova dirigenza della compagnia sudcoreana: quest’ultima dovrà dimostrare, entro il 25 novembre p.v., di saper dominare le forti turbolenze nonché varare un robusto piano di ristrutturazione gradito ai creditori: tra quest’ultimi la parte del leone è giocata dalla Korea Development Bank (KDB), l’istituto statale che sta facendo fronte alla crisi industriale del Paese, il quale, soltanto un mese fa, aveva rigettato l’ultima richiesta di finanziamento da 357 milioni di dollari avanzata da Hanjin.
Secondo l’istituto di credito, direttamente controllato dal governo centrale, un iniezione di denaro di tal entità non sarebbe stata giudicata idonea dai vari creditori dato che Hanjin necessiterebbe complessivamente di oltre 1 miliardo di dollari per far fronte ai propri debiti. L’annuncio del disimpegno di KDB aveva fatto crollare del 30% il valore delle azioni alla Borsa di Seoul, imponendo la sospensione delle contrattazioni per il titolo e mettendo una seria ipoteca sul futuro della shipping company asiatica.
Insomma, è tempo di contromosse per il governo di Seoul e, secondo quanto riportato dall’agenzia Reuters, non è escluso che il liner connazionale e rivale Hyundai Merchant Marine scenda in campo, acquisendo gli asset di Hanjin anche in salute, comprese la navi e il network internazionale.
Stefano Carbonara