LONDRA – “Ogni volta che l’Inghilterra dovrà scegliere tra Europa e mare aperto, sceglierà sempre il mare aperto”. Dubito che ci siano ancora degli altoparlanti anteguerra nel centro di Londra ma più di qualcuno, ieri mattina, si sarà chiesto se quel gran filibustiere di Sir Winston Churchill abbia, ancora una volta, parlato alla nazione. La sua sconvolgente chiaroveggenza ha provato a spiegare, con parole povere, l’esito di un referendum che ha gettato più di qualcuno in stato confusionale.
E mentre Londra e Bruxelles proveranno senza troppa consensualità a rattoppare questo grande scarabocchio, gli operatori britannici del trasporto e delle spedizioni si chiedono quale impatto avrà tutto ciò sugli scambi commerciali.
David Wells, direttore della Freight Transport Association (FTA), importante associazione che rappresenta gli interessi degli operatori britannici del commercio e del trasporto, chiede a chiare lettere che “vengano concesse alla Gran Bretagna le medesime condizioni già riconosciute ad altri Stati non membri dell’UE quali, ad esempio, l’Albania e la Serbia.
La Norvegia e la Svizzera, continua Wells, godono di accordi migliori ma hanno dovuto accettare condizioni difficili, tra cui la libera circolazione delle persone, e pertanto la nostra sarà una trattativa difficile. Anche se stiamo uscendo politicamente dall’Europa, questa rimane il nostro principale mercato di esportazione e l’origine della quota più elevata delle nostre importazioni. Non possiamo permettere, conclude Wells, che nuovi oneri burocratici ostacolino l’efficienza delle esportazioni destinate ai clienti e le merci importate destinate per ai consumatori britannici”.
Anche i rappresentanti delle merci, riuniti nella British International Freight Association (BIFA), auspicano che l’uscita dalla UE non produca “un sovraccarico di procedure sui traffici di import – export britannici”. Secondo la BIFA, “non è tempo di inscenare alcuna speculazione nel merito, dato che il Regno Unito è ancora un membro UE e non si sa quando verrà formalmente avviata la procedura di recesso. Al contempo, occorre però essere vigili e fare in modo che i nostri interessi vengano tutelati in sede di negoziato con Bruxelles”.
Secondo gli esperti del settore, non vi dovrebbero essere, fatta eccezione per alcune criticità, grossi stravolgimenti a livello giuridico. Non vi sarà alcuna caducazione delle direttive comunitarie già recepite dal governo inglese a differenza, invero, degli atti aventi efficacia immediata (cd. self executing). A giudicare dalle parole dell’autorevole law firm Norton Rose Fulbright, “va consolidandosi l’opinione che la UE Case Law continuerebbe a mantenere anche negli scenari futuri una forte influenza sul Regno Unito pur dopo l’uscita dello stesso dall’Unione Europea”.
Inter alia continueranno ad essere applicate nel Regno Unite le disposizioni contenute nella Convenzione di Chicago del 1944 sull’aviazione civile internazionale e quelle, in materia di inquinamento e sicurezza marittima, previste dalle convenzioni MARPOL e SOLAS. Maggiori dubbi si hanno, invece, in relazione al Regolamento Comunitario 2015/757 riguardante le strategie di monitoraggio, registrazione e analisi dei livelli di emissione di anidride carbonica, strategie strettamente limitate all’ambito di adozione delle stesse da parte dell’IMO.
L’ipotetica sussistenza di criticità dipenderà prevalentemente dalla permanenza del Regno Unito in seno allo Spazio Economico Europeo. Il governo inglese dovrà negoziare le nuove condizioni con un’Europa che dovrà decidere se mantenere inalterato lo status quo oppure frapporre ostacoli di nuova natura come, ad esempio, dazi e tasse. Ed è per questo che i grossi operatori dell’aviazione oltremanica – in primis i vettori low cost – hanno già iniziato a tuonare.
Stefano Carbonara