TRIESTE – I porti italiani dell’Alto Adriatico hanno le idee chiare: Trieste, Ravenna e Trieste si sono messe in testa di lanciare una sfida, a tutto tondo, ai porti di Pireo, di Istanbul e dell’eldorado Nord Europeo. Il progetto, elaborato dalla North Adriatic Port Association (Napa), gode già del supporto governativo del Mit e si focalizza sull’arcinota idea della piattaforma plurimodale al largo del porto di Malamocco (Venezia).
Il porto d’altura – sponsorizzato urbi et orbi dalla gestione Costa dell’Autorità portuale di Venezia – dovrebbe sorgere ad una distanza di 8 miglia dalla costa e verrebbe collegato a cinque terminal terrestri: tre in Italia (Marghera, Ravenna, e Trieste), uno in Slovenia (Capodistria) ed uno in Croazia, a Fiume.
L’idea del porto offshore veneziano pare abbia assunto centralità in relazione all’imminente missione commerciale italo-cinese. Pechino guarda con interesse al Bel paese: lo dimostrano i crescenti volumi d’affari nonché il numero complessivo d’investimenti (pari a 8 miliardi di euro) registrati lo scorso anno a tal punto che siamo oramai il secondo paese europeo, dopo il Regno Unito, dove la Cina investe maggiormente.
Dalle colonne del “Financial Times” gli analisti seguono con attenzione l’evolversi dell’integrazione economica euro-cinese cosicchè si parla di un nuovo piano Marshall per l’Europa, questa volta a trazione cinese. Per altri, si tratta semplicemente della “Via della Seta del ventunesimo secolo”. Venezia ha tutta l’intenzione – sulla scia della pesante eredità storica – di divenire la porta d’ingresso delle merci cinesi nel Vecchio continente. Lo vuole fare puntando sull’alleanza sinergica con altri quattro porti del Nord Adriatico.
I tecnici e progettisti della Napa credono che le navi portacontainer «da Cina», giganti da 400 metri di lunghezza e alcune centinaia di migliaia di tonnellate di stazza, potranno attraccare nel porto d’altura dove i fondali avranno una profondità di oltre 20 metri. I container verranno successivamente smistati nei cinque terminal terrestri tramite un sistema di piccole navi autoaffondanti – denominato “Mama Vessel”- capaci di trasportare ciascuna 384 container.
Gli esperti incaricati da Paolo Costa evidenziano che “le navi oceaniche (fino a 18.000 TEUs) saranno caricate/scaricate in meno di 24 ore, la produttività massima delle gru di banchina offshore arriverà a 34 movimenti/ora, il tempo di transito di un container in import dall’ormeggio della nave oceanica sull’offshore al deposito del container a Porto Marghera andrà da un minimo 5 ore a un massimo di 25 ore, il trasferimento dei container dal porto in altura a terra tramite Mama Vessel impiegherà 3 ore e 20 minuti e la produttività per metro di banchina sarà in linea con gli standard internazionali”.
L’intero sistema dei collegamenti in-offshore consentirebbe di realizzare il collegamento più rapido in assoluto tra l’Estremo Oriente ed il cuore dell’Europa (Nord Italia, Austria, Germania, Bosnia, Croazia, Slovacchia, Ungheria, Repubblica Ceca) dove ancora oggi si concentra il più alto tasso di imprese manifatturiere europee. La rotta Shanghai-Nord Adriatico è di circa 2000 miglia più breve della Shanghai-Amburgo (8630 miglia nautiche contro quasi 11 mila). In pratica sono circa 8 giorni di navigazione in meno, e quindi minori costi di trasporto delle merci e, dato non secondario, circa 135 kg di C02 in meno per ogni container movimentato da Shanghai a Monaco di Baviera.
La rottura di carico rappresentata dallo sbarco e imbarco dei container sulla piattaforma offshore prima di arrivare sulla terraferma è, secondo i più critici, un elemento altamente antieconomico, mentre secondo la Napa si tratta di “una sorta di nastro trasportatore continuo tra il terminal in altura e quelli a terra capace di eliminare i tempi morti nelle fasi di carico e scarico dei container e nel loro trasferimento a terra”.
Ulteriore criticità è rappresentata dal costo dell’opera, stimato in poco più di 2.2 miliardi di euro. L’Authority veneziana ha già fatto sapere che c’è una quota di fondi pubblici pari a 948 milioni (ma circa 350 milioni sono già stanziati) destinata alla realizzazione del terminal offshore ed alle opere civili di base nei porti. E c’è, inoltre, una quota di fondi privati pari a 1,25 miliardi: metà destinati ad attrezzare i terminal e finanziare i sistemi di collegamento off/onshore e metà impegnati nella realizzazione di un nuovo molo petrolifero offshore.
Ma, giurano gli addetti ai lavori, i futuri negoziati diplomatici italo – cinesi potrebbero sancire la discesa in campo di Icbc Cina (una delle quattro più grandi banche di Pechino) di Cccg Group (sesto gruppo di costruzioni al livello mondiale), nonché del colosso australiano Macquaire. Come a dire, la partita è tutta da giocare.
Stefano Carbonara