ROMA – Oltre 5 milioni di anni fa, il Mar Mediterraneo era differente da come appare oggi: gli sbocchi sull’Oceano Atlantico erano del tutto ostruiti e vi era, inoltre, una vallata profonda e arida caratterizzata da uno spesso strato di sale sul fondale. Del resto, la letteratura scientifica ha suggellato l’esistenza della stessa vallata andando ad individuare la cosiddetta “fase della crisi di salinità del Messiniano”, durata all’incirca 270mila anni.
Per lungo tempo il mondo accademico si è interrogato sulle cause di tale processo di prosciugamento. Tuttavia, secondo un recentissimo studio condotto dall’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia(INGV), non vi sarebbe alcun dubbio in merito: nuove analisi di sedimenti provenienti dai margini del continente antartico dimostrano che l’espansione e il successivo ritiro della calotta polare abbiano rispettivamente innescato e messo fine al prosciugamento del Mediterraneo.
L’INGV, coadiuvato da un assemblement internazionale di studiosi, è giunto a tali conclusioni grazie ad uno studio dal titolo “Antarctic glacio-eustatic contributions to late Miocene Mediterranean desiccation and reflooding”. “Negli ultimi anni- spiega Fabio Florindo, direttore della Struttura Ambiente dell’INGV nonché coautore della pubblicazione- le cause che hanno condotto al prosciugamento del Mar Mediterraneo sono state oggetto di un acceso dibattito scientifico.
Le prime teorie, pubblicate negli anni settanta, imputavano la chiusura del Mare Nostrum ad una serie di movimenti relativi alle placche litosferiche africana, araba ed euroasiatica che avrebbero chiuso lo stretto di Gibilterra. Altri ricercatori ipotizzarono, invece, che la causa principale poteva essere riconducibile a una glaciazione, con conseguente riduzione del livello globale degli oceani.
L’abbassamento del livello degli oceani- prosegue Florindo- fu tale che scese al di sotto di una soglia posta in corrispondenza dello stretto di Gibilterra, causando l’isolamento del Mediterraneo dall’Atlantico. In entrambi gli scenari la limitazione di apporto idrico, rispetto all’evaporazione, avrebbero, quindi, reso il Mediterraneo un grande lago destinato poi a prosciugarsi completamente.
Lo studio conferma questa ricostruzione, mettendo però in luce un sistema di cause molto più complesso”. Più di 60 perforazioni sono state compiute lungo il margine del continente antartico e nell’oceano meridionale: grazie ad esse è emerso che, durante il periodo della crisi di salinità del Messiniano, si sviluppò una fase di erosione e non di sedimentazione.
Quest’ultima, complice l’aumento di ghiaccio sul continente antartico, avrebbe progressivamente poi ridotto il livello delle acque oceaniche. Successivamente la calotta antartica ha vissuto una fase di ritiro, contribuendo in tal modo al sollevamento del livello medio degli oceani.
L’indagine scientifica condotta dall’equipe italiana ha portato in dote, inoltreun modello complesso al supercalcolatore che consente di simulare la dinamica della calotta polare e la conseguente oscillazione irregolare del livello degli oceani: secondo il Direttor Florindo, “una fusione parziale delle calotte potrebbe determinare una variazione complessa del livello degli oceani, dando vita a nuovi scenari di cambiamento climatico”.
Stefano Carbonara