Conferenza delle Regioni cauta sul Piano della portualità italiana

ROMA – L’ultima seduta, prima della pausa estiva, della Conferenza delle Regioni e delle Province Autonome ha visto la discussione sul Piano Strategico Nazionale della Portualità e della Logistica (PSNPL), ex art 29, comma1, D. L. vo n.133/2014, convertito con modificazioni dalla legge n.164/2014.

Ci preme sottolineare alcuni punti della discussione e del documento conclusivo. Prima di tutto, l’obiettivo principe che si pone il piano è la finalizzazione del miglioramento della competitività del sistema portuale e logistico nazionale. Il Ministero intende superare il fenomeno del “municipalismo portuale”, causa  delle principali inefficienze del sistema mare; e per superarlo si dovrà adottare il modello che prevede un robusto trasferimento delle competenze a livello statale, per cui si parla di tredici autorità di sistema portuale.

Una modificazione della “geografia portuale” a scapito delle funzioni storiche dei porti, favorendo la nascita di una sovrastruttura per governare un sistema portuale virtuale. Per quanto riguarda la pianificazione di un territorio costiero, la proposta governativa prevede che il  non riguardi più il singolo scalo marittimo, ma l’ambito territoriale di “area vasta” che distingue il sistema portuale e le infrastrutture logistico – portuali che vi insistono e quindi nasce il “piano regolatore di sistema portuale”.

La Conferenza delle Regioni, pur condividendo gli scenari delle analisi del piano (infrastrutture, semplificazione burocratica, introduzione della tecnologia, organizzazione della governance dei porti), afferma, nel proprio documento, che non si può non far notare la confusione ingenerata dalla stessa norma originaria, l’art. 29 del decreto “”. Si evidenzia che esiste un errore di fondo quando si confonde il livello programmatorio (usando il termine “Piano”) con il livello ordinamentale quando si parla di “razionalizzazione, riassetto e accorpamento delle ”.

Il documento della Conferenza, sostanzialmente, chiede se il tema degli accorpamenti delle AP sia da ricomprendersi in un siffatto Piano, a prescindere dalle funzioni di tali Autorità, oggetto di un parallelo disegno di legge, quello sulle PA “Madia”, recentemente approvato. Le Regioni evidenziano come la competitività dei porti oggi dipenda  meno da fattori “endogeni” legati al porto stesso (ad es., lunghezza delle banchine, dotazione sovrastrutturale e di equipment, etc.) e sempre di più da fattori “esterni” quali: la dotazione infrastrutturali aggiuntive, l’adduzione stradale e ferroviaria, l’esistenza o meno di servizi intermodali, la presenza di piattaforme logistiche a supporto delle attività portuali, etc. In un’ottica competitiva con la realtà portuale nord europea, se si vuole rafforzare la portualità italiana, occorre puntare ad aumentare i fattori “interni” ad un porto e non accorpare.

Appare, pertanto, necessaria una riforma complessiva dell’ordinamento portuale, che tenga conto delle funzioni assegnate alle AP e consenta una globale ricognizione e revisione delle aree di competenza potenzialmente assolvibili dalle Regioni stesse. Le Regioni ritengono, infatti, auspicabile la classificazione, da parte governativa, degli scali portuali, distinguendo in modo inequivocabile tra porti di “interesse nazionale” e porti di “ interesse regionale”, adottando strumenti diversi per le relative discipline.

Infine, le scelte riguardanti gli assetti ordinamentali dovranno essere correlate al piano di rilancio della portualità italiana, poiché è assurdo attribuire rilievo automatico e semplicistico rilievo alla classificazione delle Reti TEN in ambito Comunitario. Infine, come si legge nelle stesse schede di lettura della Camera dei Deputati,  ‘il piano sembra presupporre l’approvazione definitiva del disegno di legge di riforma costituzionale S. 1429-B, di riforma della parte II della Costituzione, che, tra le altre cose, attribuisce alla competenza esclusiva dello Stato la materia “porti e aeroporti civili di interesse nazionale e internazionale”’.

Il documento della Conferenza delle Regioni fa comprendere che esiste una competenza giuridica concorrente fra Stato e Regione. Infatti, la competenza concorrente di Regioni e Governo ai sensi dell’art. 117 presupporrebbe: a) il parere delle Regioni nella fase di redazione del Piano, precedente all’approvazione dello  stesso in sede di Consiglio dei Ministri, e, comunque, la previsione almeno di un parere in sede di Conferenza Stato-Regioni/PA; b) la previsione dell’Intesa con la Regione, e non del semplice parere, per la nomina del Presidente dell’Autorità, secondo giurisprudenza della Corte Costituzionale.

 

Abele Carruezzo