BRUXELLES – L’obbligo dei comandanti di aiutare persone in pericolo in mare è di lunga tradizione marinara e della storia del diritto. L’operazione “Frontex – Tritone” che ha sostituito l’intero programma italiano “Mare Nostrum” presto, a causa della riduzione della spesa del bilancio UE, potrebbe risultare insufficiente per il salvataggio dei tanti immigrati che stazionano nel Mediterraneo su imbarcazioni di fortuna e senza una rotta prestabilita.
L’associazione sui diritti internazionali dei marittimi, la Seafarers ‘Rights International (SRI), sta sensibilizzando i comandanti di navi mercantili sulle implicazioni connesse alle operazioni di salvataggio. Oggi, i comandanti che solcano il Mediterraneo potrebbero essere costretti ad aiutare un gran numero di persone in difficoltà che navigano con mezzi inadeguati e/o naufraghi, ricordando che detto aiuto è stato sancito dalla Convenzione Internazionale per la salvaguardia della vita umana in mare (SOLAS) nel 1914, dopo l’affondamento del Titanic.
Da allora, la Convenzione SOLAS nelle sue forme successive ha obbligato i comandanti a prestare assistenza alle persone in difficoltà, indipendentemente dalla loro nazionalità o status o le circostanze in cui si trovano. L’obbligo è sancito anche nella legge delle Nazioni Unite della Convenzione del Mare 1982, nonché nella Convenzione Internazionale sul salvataggio del 1989. Non solo, l’obbligo al salvataggio di persone in mare è regolato anche da molte leggi nazionali; ed il comandante che non riesce a fornire assistenza alle persone in operazioni di salvataggio potrebbe essere accusato secondo tali leggi e, in caso di condanna, subire azioni penali.
Sull’altro versante, il comandante, essendo responsabile della spedizione della propria nave, non può mettere in crisi il proprio equipaggio, il carico e la nave stessa nel dover affrontare una operazione di salvataggio; senza pensare ai rischi sulla salute, tra cui i rischi di infezione, come Ebola che possono sorgere quando si salvano le persone in mare. La SRI sottolinea che quest’anno più di 600 navi hanno dovuto deviare dalla propria rotta per recarsi su zone di salvataggio, dato rimarcato ultimamente anche dal Comitato per la sicurezza marittima dell’IMO lo scorso novembre; e queste deviazioni sono risultate dannose per le spedizioni di trasporto, anche perché non sono compensate da nessun premio di salvataggio e le navi e società di navigazione hanno dovuto sopportare spese aggiuntive per il ritardo di consegna delle merci trasportate.
L’obbligo dei comandanti al soccorso di persone in pericolo e/o naufraghi in mare può essere visto solo unitamente all’obbligo dei Governi di garantire l’assistenza ed azioni di salvataggio in mare alle persone in pericolo, sottolinea la SRI nel suo comunicato ultimo. Infatti, secondo la Convenzione Internazionale del 1979 sui servizi di ricerca e salvataggio, nei suoi articoli si legge che i Governi devono “garantire disposizioni e strumenti necessari per fornire adeguati servizi di ricerca e soccorso a persone in difficoltà in mare lungo le loro coste”.
Ogni riduzione di ricerca e soccorso da parte dei Governi possono aumentare il numero di incidenti in cui le navi mercantili dovranno far fronte, con conseguenti oneri e responsabilità legali sui comandanti e degli equipaggi. Seafarers ‘Rights International, essendo una associazione pan-industriale del settore marittimo che cerca di riunire le competenze nel settore dei trasporti marittimi e del mondo giuridico per promuovere i diritti e la tutela giuridica dei marittimi, è impegnata in questo periodo a far riflettere l’UE sul grave problema degli immigrati e che la marineria mercantile non può essere la sola a farsi carico di tutte le operazioni di salvataggio.
Abele Carruezzo