Quando ho provato, per la prima volta, a cercare il significato delle ”autostrade del mare”, ho messo da parte tutta l’artificiosità, la tecnicità del concetto stesso e ho provveduto a raffigurarlo con semplicità e naturalezza. Le civiltà nate sul mare hanno sempre una caratteristica: fissano a lungo l’orizzonte alla ricerca dell’altrove e sono sempre in movimento, anche da ferme, perché crescono sotto il dondolio del mare.
Sono nato e cresciuto in una città, Brindisi, che passa costantemente la sua esistenza a guardare il mare: carattere volubile come il vento che soffia nei vari periodi dell’anno e costante attitudine all’accoglienza. Brindisi è l’unico porto in Italia nel quale le navi entranti hanno la precedenza su quelle uscenti, quasi a sottolineare la sua natura benevola verso i forestieri. Una città che gioca a spiare il Mediterraneo è condannata ad avere un destino del tutto segnato: questa città deve trasportare il Mondo, dovrà contenerlo in piccole, medie e grandi imbarcazioni e lasciarlo viaggiare verso destinazioni lontane geograficamente e linguisticamente.
Brindisi nel corso della sua millenaria esistenza ha parlato tante, troppe lingue: la lingua latina di Virgilio, morto qui a Brindisi, quella sveva dell’oscuro medioevo, quella spagnola e soprattutto quella inglese che ha portato in questa città una precoce globalizzazione già alla fine dell’ottocento. Questo confine del Mondo ha sedotto Hemingway, ha ubriacato Arthur Rimbaud che vagava tra una osteria e l’altra, ha offerto ristoro a Gandhi che, in attesa di un transatlantico diretto a Bombay, potè bere da una tazzina di epoca romana il latte prodotto dalla sua celebre capretta.
La stessa città ha assistito alla liquefazione di quella grande bugia che ha sedotto e abbandonato per quasi cinquant’anni milioni di europei orientali: si è ritrovata a reggere il peso di ventimila profughi in fuga dall’Albania su qualsiasi carcassa di legno o acciaio che avesse una minima consistenza. Tutto ciò si chiama “Autostrade del mare”, rotte profonde dove si viaggiava, si viaggia e si viaggerà: rotte disegnate nell’antichità che continuano a reinventarsi nel presente e che non trasportano semplicemente persone e merci, traffici. Queste strade di mare imballano frammenti di modernità, frammenti di civiltà e portano a spasso per il continente semplicemente storie di uomini, conoscenze che si mescolano e si fortificano.Ogni giorno sulle banchine brindisine di Punta le Terrare si incontrano navi che hanno porti di partenza differenti: Patrasso, Igoumenitsa, Ravenna, Catania.
Gli uomini Grimaldi l’hanno rinominato “Long Bridge”: giganti silenziosi e rassicuranti vestiti di blu, navi da oltre 200 metri, ogni giorno fanno il carico su queste banchine di viaggiatori, ventenni armati di zaino, poveri di denaro ma ricchissimi di avventura. Su queste banchine viaggiano soprattutto merci: pezzi di Sicilia, profumi di agrumi e bottiglie di nero d’Avola unite a storie di uomini che soffrono non appena oltrepassano “ il continente” da un lato e pezzi di Emilia Romagna, tonnellate di pasta che renderanno felici gli appetiti di tanti stranieri. Spagna e Turchia non sono così lontane se viste dalle banchine del porto di Brindisi: ognuna di queste navi significa inclusione in una rete sociale che ammette soltanto efficienza e velocità, una rete che disegna le speranze economiche, che misura il grado di civiltà, la capacità di confrontarsi con tutto ciò che vi è al di là del mare.
In un paese che consuma stupidamente ventenni ad interrogarsi su sé stesso e sulla opportunità delle piccole grandi opere, in un paese che cementifica paurosamente ogni anfratto ed ipoteca visioni eco-sostenibili, queste navi possono significare oltre 100.000 tir all’anno sottratti dalle nostre strade caotiche e strette, talvolta: merci che viaggiano in silenzio ed in totale sicurezza. Questo paese guarderà sempre nel suo giardino di casa, il Mediterraneo, ma non basta semplicemente uno sguardo a levante di questi tempi.
Vi è sempre una scelta coraggiosa, rivoluzionaria dietro queste veloci navi, una comparazione costi-opportunità dietro ad ogni linea marittima: porti che stravolgono la propria geografia, scelgono di competere su scala internazionale preparandosi ai cambiamenti repentini, opere infrastrutturali e intermodali che devono essere realizzate ope legis in tempi che non siano biblici. Riuscirà questo paese ad emanciparsi dal trasporto su gomma che copre, ancora oggi, il 90 % del traffico merci? Riuscirà questo paese ad interpretare le correnti che vengono al di là del mare e ad agganciarsi al futuro?