Negli ultimi mesi, i sinistri marittimi della Costa Concordia all’Isola del giglio e della Porta conteiner Messina a Genova, i mass media italiani sono tornati a discutere il tema della sicurezza in mare. Molto spesso però si tende descrivere i sinistri con due tipologie distinte e separate: errore umano o avaria strumentale di bordo.
In realtà sempre più spesso ci si rende conto che questa divisione netta non riesce a descrivere i sinistri moderni.
La nave è diventata sempre più un sistema complesso e interdipendente tra uomo e nave. Le navi mercantili moderne rappresentano il frutto dell’evoluzione ingegneria navale. Oggi infatti non si può intercedere la nave come il vettore che solcava i mari nel 1950, la tecnologia ed i sistemi di sicurezza hanno profondamente cambiato l’approccio del sistema nave. A bordo infatti troviamo sistemi tecnologici sempre più avanzati che controllano diverse fasi della navigazione. L’innovazione tecnologica pero non può sostituire in nessun modo l’operatività e la professionalità umana. Anzi l’aumento della tecnologia, delle rotte commerciali e delle dimensioni navi deve corrispondere ad un aumento delle competenze professionali di bordo. La tecnologia infatti sebbene sia aumenta a bordo delle navi attraverso l’utilizzo delle carte nautiche digitali Electronic Chart Display and Information System (ECDIS) , è aumento il rischio derivante l’affidamento esclusivo a questi ausili alla navigazione. L’ultimo caso è il dragamine USS Guardian che affidandosi al sistema satellitare è finito in secca nelle Filippine.
Per questo nella convenzione di Manila del 2010, vi è stata l’introduzione tra personale a dell’ufficiale elettrotecnico. La convenzione di Manila del 2010 ha introdotto importanti riforme riguardanti la formazione e nuovi standard di addestramento dell’equipaggio di bordo. Questa convenzione è la fase finale di un percorso di crescita che abbina le esigenze di sicurezza che nel corso degli anni si sono sempre più rese necessarie a partire dal 1914 con la convenzione Solas all’indomani del disastro del Titanic avvenuto nel 1912.
Secondo Il rapporto “ Safety and shipping Reviw” del gruppo assicurativo allianz Global Corporate & specialty rileva nell’ultimo anno un aumento dei sinistri marittimi. Le perdite di navi nel 2012 sono state 106 a dispetto delle 91 dell’anno precedente. La cause registrate nella maggior parte dei sinistri sono affaticamento, pressioni economiche dell’armatore e inadeguata formazione del personale di bordo.
Giovedi 9 maggio presso l’hotel orientale di Brindisi si è tenuto un interessante convegno organizzato dal Propeller Club con la collaborazione della rivista Il Nautilus . A prendere parola durante l’evento , il dott. Zizzi Nicola , presidente del Propeller Club Brindisi, il comandande della capitaneria di porto Giuseppe Minotauro, ed il prof Abele Carruezzo direttore scientifico della rivista Il Nautilus e docente presso Thesy srl. La sicurezza in mare è stato il tema dell’eveno. Durante la discussione si è sottolineata l’importanza della formazione del personale di bordo. In quanto un formazione adeguata , che permette al personale marittimo di poter affrontare il proprio lavoro con solide basi lavorative, potrà ridurre il rischio di sinistri marittimi.
Infatti durante l’incontro, i vari relatori si sono alternati, cercando di fare il punto della situazione attuale, ripercorrendo sin dai primi anni del novecento i tragici sinistri nel mediterraneo e nel mondo, e le loro cause. I sinistri esaminati spesso sono stati il risultati di una catena di errori, all’interno della quale il ruolo umano ha avuto una colpa importante. I sinistri marittimi spesso oltre a causare immediatamente la tragica scomparsa di vite umane presenti all’interno della nave, causano anche un notevole danno ambientale nel caso il sinistro riguardi petroliere come la Haven nel 19991 a Genova o la Amoco Cadiz Brittany, Francia, 1978.
Gli armatori internazionali ed europei, nonchè i report dell’Unione europea chiedono la creazione di un personale di bordo qualificato secondo gli standard Europei, che abbia solide basi di formazione marittima. La convenzione internazionale STCWS , che lo stato italiano ha recepito, precisa quali siano le competenze necessarie che il personale marittimo deve possedere.
In realtà negli ultimi anni la formazione scolastica secondaria degli istituti nautici italiani, ha percorso la direzione opposta. Ad una formazione specifica si è preferità una formazione generalista. Per contrastare il calo delle iscrizioni, infatti, si è preferito allargare il piano di studi riducendo la formazione marittima specifica, dedicando ore a formazione interdisciplinare dei trasporti.
La riforma dell’Istruzione Tecnica e Professionale ha previsto la confluenza degli Istituti Nautici nell’indirizzo “Logistica e Trasporti” senza definire i titoli validi per l’accesso alla carriera di ufficiale nella marina mercantile. Le attuali figure tecnico-professionali di “perito per il trasporto marittimo e “perito per gli apparati e gli impianti Marittimi”, corrispondenti a quello di “aspirante al comando di Navi mercantili” e “aspirante alla direzione di macchina”, assumerebbero una connotazione diversa. La giusta corrispondenza dei titoli deve, comunque, rispettare la caratteristica formativa imposta dalla normativa internazionale.
L’attuale riforma dell’istruzione tecnica, all’art. 2 del regolamento, individua l’identità degli istituti tecnici come “caratterizzati da una solida base culturale scientifica e tecnologica, in linea con le indicazioni dell’Unione europea, costruita attraverso lo studio, l’approfondimento e l’applicazione di linguaggi e metodologie di carattere generale e specifico, espressa da un limitato numero di ampi indirizzi correlati a settori fondamentali per lo sviluppo economico e produttivo del Paese, con l’obiettivo di far acquisire agli studenti, in relazione all’esercizio di professioni tecniche, i saperi e le competenze necessari per un rapido inserimento nel mondo del lavoro, l’accesso all’università o all’istruzione e formazione tecnica superiore”.
Quindi gli istituti tecnici dovrebbero formare personale qualificato direttamente inseribile nel mondo del lavoro . Anche gli istituti nautici dovrebbero formare personale competente da adoperare a bordo delle navi.
A contrastare quanto detto , intanto, si registra una riduzione delle ore di lezione da 36 a 32. Nel primo biennio si registra la scomparsa di “esercitazioni marinaresche”, disciplina che costituisce il primo approccio con le tematiche del mare. Nell’attuale riforma scompare l’insegnante di madre lingua inglese in compresenza nei primi tre anni curricolari e si ha una riduzione complessiva delle ore di lezioni settimanali.
Questo aspetto contrasta il contesto internazionale in cui il personale di bordo si ritrova ad operare. In seguito alla istituzione del doppio registro, anche sulle navi che battono bandiera italiana è possibile trovare un equipaggio misto, cioè con elementi di nazionalità diversa, sia tra gli “ufficiali”, che tra i “comuni”. Per questo occorre avere l’assoluta padronanza della lingua inglese anche per garantire maggiore sicurezza sulla nave. Ne discende che lo studio della lingua inglese dovrebbe essere intensificato e non ridotto, come previsto dalla riforma. Inoltre secondo la normativa vigente. Inoltre per accedere alla qualifica di Ufficiale occorre preliminarmente superare un esame di inglese e in esito al suo superamento si potranno poi sostenere le previste prove professionali teoriche e pratiche; la riforma, contrasta anche con l’aspetto numerico degli istituti nautici che rappresentano un numero ridottissimo in Italia. Dove sono localizzati, gli istituti nautici, rappresentano non solo un legame culturale con il territorio, in quanto è un mestiere tramandato da generazioni, ma anche una possibilità immediata di un impiego, attraverso il quale è possibile un crescita culturale personale.
La soluzione per sopperire a questo tipo di formazione , potrebbe essere la creazione di centri di alta specializzazione , sparsi nel territorio italiano, magari con il sostegno delle istituzioni pubbliche, ricalcando il modello dell’accademia della marina mercantile a Genova. Istituti riconosciuti dal ministero dei trasporti e di assoluta competenza del personale docente. In tal modo si potrà riprendere a formare ufficiali italiani che hanno per tanto tempo portato lustro e prestigio alla marina italiana. I capitani italiani di un tempo, ancora oggi sono ricordati dalle generazioni più giovani sia per le loro competenze tecniche, sia per le doti morali di leadership e di carisma, doti fondamentali per l’equipaggio della nave.
Giampiero Campagnoli