“Si tratta di una decisione complessa per i giudici chiamati a pronunciarsi sulla delicata questione se affidare le indagini alla polizia anti terrorismo NIA oppure alla polizia criminale CBI” hanno spiegato i difensori dei due marò all’uscita della seduta odierna. L’Ambasciatore d’Italia in India, Daniele Mancini, presente in aula, questa mattina, ha assistito a questo ennesimo rinvio, per il prossimo 25 aprile, da parte della Corte suprema impegnata a decidere di non decidere sulle modalità del processo.
Martedì scorso, 16 aprile, l’Italia aveva presentato un “affidavit” (memoria) in cui contestava la decisione di New Delhi di affidare il caso alla NIA e di ricorrere a una severa legge (Sua Act del 2002) concepita per lottare contro il terrorismo in acque internazionali e che prevede la pena di morte in caso di omicidio. Secondo la memoria difensiva dei due marò, l’iniziativa del governo indiano “é contraria e completamente in conflitto con le specifiche direttive prive di ambiguità contenute nella sentenza della Corte Suprema del 18 gennaio 2013”.
In questa occasione la Corte aveva ordinato il trasferimento degli atti processuali dal Kerala ad un “tribunale specifico” che doveva essere costituito dallo stesso governo indiano. Intanto sul versante dello shipping, il caso della nave “Enrica Lexie” e dei nostri due marò è riferito come un precedente per le attività internazionali di lotta alla pirateria marittima, proprio per fare chiarezza sull’uso della forza dei team di sicurezza ingaggiati dalle compagnie di navigazione per proteggersi dai pirati.
Chiarita, in futuro, la giurisdizione e la natura della pena, sarà necessario conoscere il giudizio sulle regole di ingaggio dei militari durante un attacco dei pirati. Infatti, quando l’Organizzazione Marittima Internazionale (IMO), quando nel 2011 ha emanato le linee guida per le compagnie mercantili che assumevano “contractors” privati, ha prescritto che “ogni ragionevole azione deve essere presa per evitare l’uso della forza e che se bisogna farne ricorso, deve essere in modo graduale, secondo l’osservanza di pratiche di “buona gestione”. In particolare, i “contractors” devono usare le armi “solo in caso di autodifesa” o per “difendere altri”; ma è doveroso ricordare che le linee guida dell’IMO si applicano solo ad agenti di sicurezza privati a contratto e non a personale delle Forze Armate di uno Stato; inoltre, l’IMO non parla di “regole d’ingaggio” in quanto queste si riferiscono a concetti puramente “militari” che esula dalle proprie competenze come organizzazione mercantile.