La minaccia dei pirati: si discute ancora

Il fatto nuovo nella strategia messa in atto dai pirati sia ad ovest che ad est dell’Africa è che questi abbordaggi  si sono spinti a distanze sempre più elevate dalla costa; questo dimostra che la nuova pirateria ha una capacità ampia di presenza geografica, come pure è cresciuta la capacità di azione e di attacco. E’ vero che, superata la fase iniziale del fenomeno, la comunità internazionale sta mostrando una più consapevole sensibilità alla problematica e più determinazione nell’adottare misure di contrasto.

Per quanto riguarda l’Italia, il “sistema Paese” è impegnato nel contrasto alla non solo con costi diretti per il settore armatoriale, ma soprattutto per i costi strategici relativi al mantenimento di linee di traffico per il trasporto marittimo da e per il Mar Rosso e Mediterraneo Oceano Indiano, con gravi ripercussioni sullo sviluppo dei porti come Gioia Tauro, Genova, Livorno e Trieste a vantaggio dei porti africani.

Dalla relazione della IV Commissione in Senato, depositata fine ottobre, si legge che nel 2012, le risorse stanziate dal nostro Paese per la partecipazione all’operazione militare dell’ denominata Atalanta e all’operazione della NATO denominata Ocean Shield per il contrasto della pirateria è pari a 49.686.380 euro; alle quali si devono aggiungere i 2.293.954 euro impiegati, nel medesimo periodo, per la partecipazione di personale militare alla missione militare dell’Unione europea denominata EUTM Somalia e alla recente iniziativa dell’Unione europea per la Regional Maritime Capacity Building nel Corno d’Africa e nell’Oceano Indiano occidentale denominata EUCAP NESTOR.

Ma oltre all’azione militare di pattugliamento delle rotte, i Paesi dello shipping interessati hanno pensato di imbarcare a bordo delle loro navi che navigano in quelle acque guardie armate sia militari che civili. L’attuale disciplina normativa italiana afferma che il può stipulare con gli armatori privati italiani e con altri soggetti aventi analogo potere di rappresentanza (noleggiatori  a tempo o a viaggio), convenzioni per la protezione delle navi battenti bandiera italiana che debbano attraversare spazi marittimi internazionali a rischio di episodi di pirateria; le zone a rischio vengono individuate con decreto emanato dal Ministero della Difesa, sentiti i Ministri degli Affari Esteri e delle Infrastrutture e dei Trasporti e valutate su indicazioni periodiche dell’IMO; a tal fine possono ricorrere all’imbarco, a titolo oneroso e a richiesta degli armatori, di nuclei militari di protezione (NMP) della Marina (composti eventualmente anche di personale di altre Forze armate) dotati di armamento previsto per l’espletamento del servizio.

Mentre per la fruizione dei servizi di protezione mediante i NMP, gli armatori devono provvedere al ristoro dei relativi oneri (con somme corrisposte mediante versamenti all’entrata del bilancio dello Stato, riassegnati entro sessanta giorni ai relativi capitoli di previsione di spesa del Ministero della Difesa), comprensivi delle spese per dei NMP e di quelle necessarie per le convenzioni stipulate; al personale dei NMP sono infatti corrisposti il compenso forfetario di impiego e le indennità previsti per i militari imbarcati sulle unità della Marina negli spazi internazionali, e ad essi sono applicabili le misure di ordine penale previste dal codice penale militare di pace. Per evitare tanta burocrazia che dovrebbe liberare gli armatori dalla stretta dei pirati e per non incorrere nel caso come quello dei “marò”, molti armatori stanno riclassificando le navi sotto bandiera maltese o altre per poter imbarcare guardie armate civili.

Il ritardo accumulato, dal Governo italiano, nell’attuazione della normativa inerente l’imbarco di guardie giurate a protezione del naviglio mercantile riguarda alcuni particolari aspetti:  i corsi di formazione delle guardie giurate, espletati da centri di formazione privati, dovranno altresì prevedere anche una formazione di tipo specialistico per quanto riguarda l’impiego di armi normalmente non utilizzate, sul territorio nazionale dalle guardie giurate; tali corsi dovranno avere una durata, tale comunque da garantire un livello formativo più che adeguato posto che parte dell’attività di preparazione sarà comunque curata dalle Forze armate; i componenti del team devono aver svolto il servizio militare e di svolgere il compito di operatore di sicurezza privata; regolamentare i rapporti intercorrenti tra il comandante della nave e le guardie giurate imbarcate a bordo (laddove sul primo ricadrà la responsabilità di decidere l’impiego del personale di sicurezza); ed infine, il transito degli armamenti a bordo di mani mercantili. Questi problemi dovranno essere risolti in tempo utile, anche se pochissimi centri di formazione in Italia sono già operativi nella preparazione di security team con corsi dedicati.

 

Abele Carruezzo