From sea for sea

Chi sa di porto non riesce a parlare o non gli permettono di parlare; mentre sono autorizzati a parlare di porto solo quelli che non sanno! Ma in Italia, lo sport preferito è parlare di “non-porto”, mentre ancora si discute di riforma della legge sui porti; si nominano  presidenti di Autorità portuali, Assoporti ha il suo nuovo direttivo  e sui social net-work si clicca “mi piace”. Una cosa è certa e condivisa da tutti, anche dai non addetti ai lavori: che lo sviluppo di un territorio marittimo dipende dal suo porto e dalla portualità concertata, programmata ed attuata senza interessi di parte.

Il “vento nuovo” non è solo critica fine a sé stessa; non è disaffezione, astensionismo civile, caduta dei valori marittimi e poca passione per il bene comune, il porto, e soprattutto non è espressione di disinteresse sociale e dell’intera cittadinanza. Ed allora, non è il porto che si è ritirato dalla città, ma il contrario. Una città che ha perso la capacità di ascoltare il porto e comunicare con essa. Operatori portuali, quelli contrari sempre, non adeguati ad affrontare la crisi in atto; occorre ri-costruire lo stare insieme in un porto, convinti che lavorare per il porto significhi lavorare per la città.

Operatori  che dimostrino più coraggio ad abbandonare le vecchie logiche politiche che non sono state in grado di portare il “nuovo”, anzi hanno sempre intralciato lo sviluppo di un porto.  Pur riconoscendo che “quadri” dirigenti della relazione fondante la città-porto tendono a mantenere lo status quo perché così difendono la loro posizione e la loro stessa , dobbiamo impostare una nuova declinazione della stessa relazione: solo facendo “nostro” il porto presente, liberandolo da ogni condizionamento, diviene possibile istituire un rapporto fecondo con il passato e con il futuro. Per questa ragione, appaiono necessarie forme di un governo del territorio condiviso per una shared .

 

Salvatore Carruezzo