Nuova governance, un nuovo punto di equilibrio fra le competenze dell’autorità portuale e dell’autorità marittima; più poteri ai presidenti dentro i circuiti portuali; norme più chiare sui piani regolatori, rilancio della logistica, autonomia finanziaria e sistemi tecnici nautici. Questi i nodi da sciogliere per un riordino portuale (modifiche L.84/94) che tenga conto di quello che sta avvenendo nell’Europa del mare e nel mondo marittimo. Questo è quanto si auspicano i partiti che sostengono il governo Monti: Pdl, Pd e Udc per una riforma portuale che sia anche un po’ europea.
Il sistema portuale italiano, senza dubbio, va rilanciato per sfruttare al meglio tutte le potenzialità infrastrutturali lungo l’intera penisola italiana, piattaforma logistica naturale, protesa nel Mediterraneo; soprattutto per quanto riguarda i traffici dall’estremo oriente. Per questo, essendo l’Italia ricca di porti, non occorre ridurre le authority, sotto la declinazione inglese della spending review, ma vanno messe a “sistema” per potere essere efficienti/efficaci sia nei servizi marittimi e portuali offerti e per una adeguata valorizzazione delle aeree retroportuali; investendo e valorizzando le nostre ricchezze, per rimanere sul mercato.
Con il decreto sulla riduzione della spesa, approvato ieri, la riforma dei porti potrebbe subire qualche frenata, con una qualche ricaduta sull’intero sistema portuale italiano. Il teorema dei professori tecnici del governo Monti è semplice: applicare restringimenti economici in ambito portuale e revisionare riducendo le piante organiche delle autorità portuali (parecchie precarie) significa non spendere e perciò non applicare nessuna politica di sviluppo portuale; mentre in Europa si fa il contrario! Noi siamo italiani ed accettiamo solo i richiami tedeschi e dell’Europa a rigore economico e con l’avallo dei partiti del Pdl, Pd e Udc. Questa non è economia del mare!