Nel nostra Italia le royalties da pagare allo Stato da parte di società petrolifere per le trivellazioni sono del 4 per cento e non del 30-50 per cento come per altri Paesi. Inoltre, le società non pagano alcuna imposta per i primi 300.000 barili di petrolio all’anno ed oltre 800 barili (50.000 litri) di petrolio gratis al giorno. Per questo motivo, le richieste di concessioni per l’esplorazione ed estrazione petrolifera off-shore lungo le nostre coste, in particolare adriatiche, sono in aumento. Se si da uno sguardo alle mappe del Ministero dello Sviluppo Economico si nota una vera e propria esplosione di richieste, soprattutto nel medio e basso Adriatico interessando regioni come Abruzzo, Marche, Puglia, Calabria (versante ionico) e Canale di Sicilia.
In queste aree marine, attualmente, sono stati dati 24 permessi per l’esplorazione, oltre alle già 66 concessioni di estrazione, impegnando 11.000 Kmq; mentre i pozzi già operativi riguardano quasi 9.000 Kmq. Sicuramente, le nuove richieste investiranno un’area stimata superiore all’attuale, visto che la mappa ministeriale non menziona la superficie complessiva. La Regione Puglia, ultimamente ha contestato queste autorizzazioni, spinta dall’azione dei territori costieri, contrari alle trivellazioni; mentre, oggi, sono i territori siciliani che stanno contestando con tutte le modalità democratiche, visto che il Governo, essendo tecnico, non vuole sentire ragione e prospetta opportunità di lavoro e sviluppo economico in futuro.
Gli attivisti di Greenpeace, la scorsa settimana ad Agrigento, hanno lanciato il messaggio “U mari nun si spirtusa”. Le società interessate all’esplorazione e poi all’estrazione sono le note Eni, Edison e Shell e relative consociate. Tutti sappiamo che queste società adottano la tecnica esplorativa dell’air-gun (una specie di cannone ad aria compressa) per individuare le sacche di idrocarburi; altre volte usano tecniche sismiche a riflessione. Queste tecniche, bandite da studi universitari di settore, mostrano una pericolosità per la fauna marina, con riduzione del pescato, entro un raggio di oltre 40 miglia dal sito della piattaforma off-shore. Poi le prime analisi di campioni di petrolio estratto, nel basso Adriatico, hanno evidenziato la scarsa qualità del prodotto, assegnando un indice basso di API-Gravity, pari a circa 15 gradi Api (American Petroleum Index = un valore di densità standard a 60°F).
Se si raffronta alla migliore qualità del petrolio del Mar del Nord, di circa 50 gradi API, si conclude che il petrolio, al largo delle coste pugliesi, è molto denso e relativamente carico di impurità-scorie, oltre ad essere quantitativamente poco; per portarlo a livelli di produzione accettabili ed economicamente redditizi, occorreranno processi di separazione delle scorie e di raffinazione per abbattere i valori alti dei tenori di zolfo. Perciò, le piattaforme off-shore saranno delle isole-strutture di esplorazione, di estrazione e di raffinazione del petrolio.
Abele Carruezzo