L’esercizio di analisi sul regime amministrativo dei porti in Italia è continuo e mai si conclude, mentre l’evoluzione dei porti sta interessando nuovi scenari del post-industrialismo (logistica per tutto e per tutti). Sostanzialmente, dobbiamo ricordare due momenti storici che hanno segnato la vita dei porti della nostra penisola. Il primo va dal dopoguerra fino all’entrata in vigore della 84/94: cinquant’anni che hanno segnato il riordino della legislazione in materia portuale.
In questa fase i porti sono stati delle realtà separate dal territorio e dal tessuto urbano delle città di riferimento; diversi modelli organizzativi hanno dominato il mercato del lavoro che prevalentemente era “manuale”. Nel secondo periodo, dal 1994 ad oggi, quasi trent’anni, il problema importante dei porti è stato quello di armonizzare la disciplina della “governance” delle varie Autorità Portuali, cercando di razionalizzare le “spese-superflue”, risanare il deficit e riposizionare i 20.000 lavoratori portuali.
Con la nuova proposta di legge, in discussione al Senato, si desidera inaugurare un terzo periodo di cambiamento del regime amministrativo: i porti sono infrastrutture strategiche per l’Italia e pertanto dovranno essere in grado di offrire risposte efficaci ai nuovi bisogni di una moderna portualità. Oggi, il focus della produzione delle attività portuali si sta spostando sempre più verso oriente, dove Cina, India e Giappone, per indirizzare le loro produzioni sui mercati europei ed americani, si stanno insediando sui moli dei territori marittimi mediterranei tramite joint venture e/o acquistando quote di terminal (vedasi Pireo e Taranto); in questo modo ampliano il loro “fronte del porto” alle principali destinazioni delle loro merci in Nord America, Nord Europa e Mediterraneo.
L’Italia ha la capacità di intercettare questi traffici? Per quale ragione le merci debbono giungere nei porti del Nord Europa, via Suez – Gibilterra, per poi essere trasportate nei mercati europei ed in Italia, quando si potrebbe seguire la via più naturale e diretta, cioè prima in Italia e poi in Europa? La “crisi” in atto forse sta imponendo un nuovo approccio culturale alla materia dei porti: l’Italia, con i suoi 8000 Km di costa, piattaforma logistica naturale, ed una forte tradizione di settore può fare uno sforzo nella direzione di una maggiore sensibilizzazione degli operatori e categorie interessate. Si può affermare che la ricchezza viene dal mare in relazione alle potenzialità proprie del settore e di tutto il territorio. Si aspetta solo il “risveglio” della politica italiana e soprattutto dei Politici!
Abele Carruezzo