Recentemente, Bruxelles ha ospitato i rappresentati sindacali e datoriali dei lavoratori portuali, alla presenza della Commissione Europea. Fra i temi in discussione, il focus è stato tutto rivolto alla “formazione”; finalmente si è compreso l’importanza di formare il personale addetto al lavoro portuale, oggi inteso nel senso più ampio del termine e rivolto anche alle funzioni logistiche di un porto moderno.
Individuare percorsi formativi comuni per l’accesso al mercato da parte dei lavoratori diventa necessario; come pure occorre stabilire strumenti operativi che certifichino la qualità formativa, specialmente per i lavoratori addetti alla conduzione dei mezzi complessi di sollevamento, al fine di un patentino di specializzazione.
Si è parlato anche di liberalizzazione di alcuni servizi portuali, tema molto caro al Presidente di Assoporti Nerli; si sono sottolineate le difficoltà a derogare ai contratti nazionali tramite accordi aziendali, anche perché la situazione dei porti europei è giuridicamente differente e quindi non serve a nessun porto raggiungere una uniformità operativa solo virtuale.
Osserviamo che la situazione italiana presenta alcune differenze: a chi dice che le 23 autorità portuali esistenti siano troppe, si può obiettare che il problema non è il numero, ma le 23 interpretazioni tutte differenti fra loro della legge 84/94; questo crea, in alcuni casi, situazioni poco sostenibili di precarizzazione e di parcellizzazione del lavoro portuale sino al dumping sociale tra i porti e nei porti.
Ultimamente, in alcuni porti, invece di applicare la legge, in quanto strumento, la 84/94 è stata continuamente interpretata, facendo perdere dei diritti e non solo; in questo modo si perde anche la professionalità, quel know how tipico dei lavoratori portuali. Che la legge sulla portualità italiana vada riequilibrata è risaputo; però non si conosce quando questo avverrà! Intanto, se desideriamo una certa continuità professionale, se teniamo al futuro dei nostri porti, e se desideriamo un mercato del lavoro più accessibile, e se crediamo nella logistica portuale, dobbiamo investire in formazione; alcune autorità portuali, come pure molte aziende, questo futuro è già operativo.
Anche il segmento dell’istruzione superiore deve essere rispondente al mercato dei trasporti e della logistica e non dovrà essere solo un problema di quadri orari, ma di contenuti e di saperi per affrontare l’interfaccia lavorativa porto-nave e nave-nave. In questo periodo di crisi, dove il quadro economico nazionale ed europeo rende difficile la tenuta delle aziende , investire in formazione non è un costo, ma una risorsa; chiaramente, qui parliamo di formazione di qualità, quella importante, continua, organica ed intrinseca alle aziende per essere competitive.