La decisione dell’Unione europea di inasprire, con la forza navale, la lotta alla pirateria nel Golfo di Aden non è sicuramente sufficiente; ora si sta cercando un “pirate cultural advisor”, attirando ovviamente l’attenzione dei media. “Pirate cultural” è la frase che più ha attirato la maggior parte dei commentatori.
L’ossimoro creato ci porta a contrapporre le due parole: “cultura”, ci suggerisce gallerie d’arte, con opere pregiate ed allo stesso modo elogi di apprezzamento estetico; mentre la parola “pirata”, ampiamente considerata come antitesi della prima, e per la capacità di fornire immagini di riferimento storico ed altre moderne di pirateria, ci fa vivere il melodramma vittoriano a Hollywood Hokum.
Nonostante il fatto che le attività del “pirata” moderno, che tiene come ostaggio gli equipaggi a scopo di estorsione, hanno avuto vasta eco, pur con l’attenzione intermittente dei media, l’immagine evocata dalla parola stessa, nel collettivo immaginario, rimane ostinatamente quella romantica, piuttosto che quella di realtà brutale vissuta dagli ostaggi e dalle loro famiglie. Così come per le pubblicità commerciali, per un consulente culturale di pirateria hanno fatto uso di immagini come quelle della serie recente di film del pirata di Hollywood.
Che la UE NAVFOR stia in realtà cercando qualcuno con un background militare e con la conoscenza giusta sulla pirateria, è una strada considerata attualmente praticabile. Il portavoce UE NAVFOR ha detto ai media, che si sta semplicemente seguendo la ben nota politica di conoscere il proprio nemico per poterlo sconfiggere più facilmente.
In altre parole è come entrare “all’interno della mente” di un pirata, anche se si tratta di quella di un consigliere che comunque rischia di essere sotto l’influenza di khat, e/o anfetaminici o droga. E’ un segno forse che agenti incaricati con il compito di difendere in alto mare abbiano frequentato corsi di formazione al college navale, piuttosto che un’azione di polizia, una campagna militare, sia pure asimmetrica.
Allo stesso tempo la pirateria è anche azione/atti trattati come un “Crimine transnazionale”, con incidenti, particolarmente riusciti e dirottamenti di navi falliti, ricevendo la giusta attenzione dell’INTERPOL. Non è chiaro se le altre forze navali – NATO e Combined Task Force della Marina degli Stati Uniti, per esempio – siano similmente esperte sulla cultura dei pirati che lavorano per loro, ma non sarebbe sorprendente se lo facessero.
Senza dubbio, anche le Compagnie di navigazione e le Organizzazioni dell’industria potrebbero usufruire, direttamente o indirettamente (magari tramite P & I club o di studi legali), di tali conoscenze, anche se si immagina che di esperti genuini ve ne siano pochi. Né sarebbe sorprendente saper di un utilizzo di pirati stessi in negoziati/riscatto, come affermava un esperto, all’inizio di quest’anno; altri hanno impiegato consiglieri culturali europei per particolari servizi, per governi UE o impegnati con forze militari.
Mostrando consapevolezza della cultura del nemico, avevano anche preso visione di molti pirati che hanno vissuto la cattura, da parte di Marine europee, come una opportunità per rivendicarne lo status di richiedente asilo e godere dei vantaggi delle democrazie liberali. Si stima che circa 1.000 uomini accusati di pirateria sono in attesa di processo in tutto il mondo, ma il numero di attacchi nella regione, anche se con una ridotto tasso di successo, non sembra diminuire.
I dirottatori, in alto mare, hanno già dimostrato la loro capacità di cambiare le loro tattiche in risposta a quelle utilizzate dalle navi mercantili abbordate e da quelle militari in difesa delle prime. La loro capacità di vittoria, nel catturare grandi navi mercantili in mare con delle imbarcazioni fragili, ha senza dubbio evidenziato la lode, a denti stretti, unitamente ad una esperienza marinaresca. Essi sono diventati abili a negoziare riscatti, durante i quali senza pietà, riescono ad implementare tecniche di tortura fisica e psicologica e ad esercitare pressioni a ostaggi, a Paesi ed a Compagnie, cercando di assicurare il loro rilascio.
Le relazioni di crescente violenza contro gli ostaggi possono essere una reazione a ciò che i pirati percepiscono: cioè di trovarsi dentro una battaglia persa, anche se una teoria alternativa afferma che il dirottamento di navi è una fase, mentre il sequestro ne è un’altra; per cui vengono assunte guardie armate che, invece di ricevere una quota del riscatto, sono pagate a tariffa giornaliera e quindi hanno meno interesse per il benessere dei loro prigionieri.
Se, oggi saggiamente, i comandanti di navi stanno seguendo corsi di formazione per conoscere meglio i pirati, è altresì vero che il mondo della marina mercantile e della spedizione marittima hanno unificato le loro forze per combattere il fenomeno della pirateria; e questo non accadeva dal tempo della seconda guerra mondiale. Occorre tener presente che gli equipaggi di navi sono per la maggior parte cittadini stranieri le cui culture sono degne di uguale controllo, dato che alcuni ostaggi potrebbero essere culturalmente predisposti a mantenere segreti alcuni dettagli del loro trattamento per mano dei loro rapitori.
A livello operativo, i comandanti della marina hanno cominciato ad apprezzare i problemi delle armatori, equipaggi e la loro gestione, rendendosi conto che, mentre la maggioranza sono disposti a cooperare in implementare best practice, il reporting e mantenere i contatti – per quanto possibile, un hard-core di minoranza sembra essere pronto a navigare attraverso zone ad alto rischio con minime misure anti-pirateria.
Agli armatori, per parte loro, sono stati riconosciuti i vincoli in base ai quali sono costretti a lavorare, anche se ancora vi è per la mancanza di volontà politica per risarcimenti uno stato lavorativo di “calamità”. Conoscere il proprio nemico è una cosa; ma conoscendo il tuo nemico significa che lui ti conosce e che il vincitore sarà quello che farà la mossa prima degli altri. Cioè: “conosci il tuo pirata meglio di quanto lui conosca te”.
Fonte: Bimco
Traduzione a cura di Abele Carruezzo