Come stabilito dall’articolo 4 della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare, sottoscritta a Montego Bay nel 1982 (UNCLOS) e ratificata dal nostro Paese nel 1994, ogni Stato è libero di stabilire l’ampiezza delle proprie acque territoriali, fino ad un massimo di 12 miglia marine.
Il mare territoriale si calcola a partire dalla linea di base, che può essere la linea di costa a bassa marea oppure una linea retta, che unisce i punti più sporgenti di una costa molto frastagliata o la linea di chiusura di una baia, che risponda a precisi requisiti (c.d. regola del semicerchio).
In particolare l’art. 74. 1 UNCLOS, stabilisce che la delimitazione delle Zona Economica Esclusiva (ZEE) tra Stati con coste adiacenti od opposte deve farsi per accordo in modo da raggiungere una soluzione equa.
Ma la Libia non ha mai ratificato la Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare, e quindi fa riferimento al diritto consuetudinario che regola la materia.
Il 19 ottobre 1973 rivendicò il Golfo della Sirte (307 miglia marine da Bengasi a Misurata) come territorio nazionale anche oltre il limite dei 22,2 km dalla costa in spregio allo standard internazionale senza riconoscimento alcuno da parte della Comunità Internazionale.
I libici hanno poi istituito nel 2005, una Zona di protezione della pesca (ZPP) estesa 62 miglia al di là delle acque territoriali il cui confine – anziché essere parallelo alla costa – è spostato verso nord dalla linea di chiusura del Golfo della Sirte.
Tale proclamazione ha conseguentemente determinato la sottoposizione di aree di alto mare alla giurisdizione di pesca libica, secondo parametri assimilabili a quelli di una ZEE. Per effetto di ciò la pesca in acque incluse nella ZPP libica si configurerebbe illegittima, tranne che vi sia il consenso dello Stato costiero.
Ma essa, pur rispettando l’equidistanza con gli Stati frontisti (Malta, Grecia ed Italia), presenta comunque profili d’illegittimità per via dello spostamento verso il largo, causato dalla chiusura del Golfo della Sirte, dei propri limiti esterni.
Sebbene registriamo una “timida” protesta effettuata con interrogazione parlamentare del 22 luglio 2005 e, nello stesso anno, dalla UE è stata eccepita l’illegittimità della ZPP in ragione della non conformità al diritto internazionale della chiusura della Sirte, a tutt’oggi, di fronte a tale discutibile rivendicazione, non ci risulta una posizione ufficiale italiana.
Risulta, anzi, che il nostro Paese, nonostante il Trattato italo-libico del 2008 preveda un partenariato di natura economica che ha per oggetto anche la pesca, attraverso il Comitato di coordinamento interministeriale per la sicurezza dei trasporti e delle infrastrutture (COCIST) si è limitato “solamente” a dichiarare le acque al largo della Libia “zona ad alto rischio”- senza fornire direttive politiche alla Marina Militare ai fini di contrasto ai sequestri di unità navali italiane.
Inoltre, sino a qualche anno fa, la nostra Direzione generale della pesca del Ministero delle politiche agricole ha raccomandato alle associazioni di categoria di sensibilizzare gli associati “perché rispettino appieno la legislazione libica, si tengano con i loro battelli a notevole distanza dalle coste libiche, ivi compresa la Zona di protezione, al fine di non incorrere in spiacevoli situazioni che potrebbero, tre l’altro, ripercuotersi sui rapporti bilaterali dei due Paesi ”.
Tralalaltro il 12 marzo 2019 Federpesca firmava con la Libyan Investment Authority (LIA) di Bengasi un accordo per consentire ad un numero limitato di pescherecci di stanza a Mazara del Vallo, di operare in acque libiche. Tale accordo, a titolo oneroso, venne immediatamente sospeso poiché la LIA, trovandosi sotto l’autorità di un governo (quello di Haftar) non considerato dalle Nazioni Unite come legittimo, veniva definito dal governo riconosciuto (quello di Serraj) illegale. Ovviamente l’accordo non è un trattato internazionale, ma un semplice contratto di concessione tra un’autorità pubblica e un privato con la sola differenza che la prima è emanazione di un governo non riconosciuto dalle Nazioni Unite.
Dopo innumerevoli precedenti che non stiamo a ricordare – per esigenze di brevità – in questa sede, sta assurgendo a vero e proprio “casus belli”- purtroppo con esiti tutt’altro che lusinghieri per come l’Italia sta gestendo, a livello diplomatico, la situazione, l’incarcerazione di altri pescatori mazaresi a seguito del fermo dei due pescherecci “Antartide” e “Medinea” a circa 40 miglia da Bengasi, accusati anche di illeciti diversi da quelli di pesca (come il traffico di droga), che si trovano nelle carceri libiche da oltre 100 giorni.
Secondo la versione libica la zona del fermo ricadrebbe al limite tra ZPP e acque territoriali e giustificherebbe, ai sensi del diritto internazionale, la pretesa giurisdizione sul traffico di droga che altrimenti esula dal regime della ZPP suffragata dalla mancanza di contestazione italiana sia della ZPP che della chiusura della Sirte.
Tralaltro, la questione è stata anche oggetto di interrogazione parlamentare alla Commissione Europea E-005537/2020 dell’8 ottobre scorso dal seguente tenore
“1.Come intende procedere affinché siano rispettati i limiti stabiliti dal diritto internazionale marittimo?
2.Come prevede di assistere gli Stati Membri oggetto di ripetute violazioni, come quelle commesse lungo le coste siciliane in Italia?”
Se l’Italia al momento ha assunto un atteggiamento” soft” sulla vicenda sarebbe lecito attendersi una reazione da parte di Bruxelles.
Infatti il riconoscimento dei “diritti preferenziali di pesca” italiani nella ZPP libica (consolidatisi in secoli di frequentazione) dovrà avvenire in un futuro accordo di pesca negoziato dall’UE.
Avv. Alfonso Mignone